domenica 18 ottobre 2020

Destinazione universo

 

Non so chi abbia scattato questa fotografia, l'ho trovata su Facebook, la didascalia a commento era: distanziamento sociale; è molto arguta ma forse toglie qualcosa allo scatto, più che aggiungere.

Seguendo il metodo inaugurato da Roland Barthes nel suo saggio La camera bianca, ho provato a individuare ciò che lui chiama studium e punctum; e cioè il contesto materiale e storico, la contingenza umana, separandoli dal dettaglio visivo che cattura l'occhio dello spettatore, e con esso le sue emozioni.

Ci ho provato ma non sono riuscito.

Un'immagine-mondo che ritrae una ragazza di spalle; ne vediamo solo i lunghi biondissimi capelli, gli smisurati tacchi; a sua volta sta ritraendo l'amica – stessi capelli, cambia solo l'acconciatura a incorniciare un viso dai lineamenti slavi, stessi tacchi da airone –, la posa è glamour di fronte alla vetrina di Chanel, con la flessione quasi postribolare delle anche. Alla loro sinistra una donna, o forse è un uomo, non si capisce bene per via del foulard viola che ne ricopre il capo; ma proprio quell'indumento suggerisce il genere femminile, probabilmente è una zingara. Sta prona sul marciapiede a mendicare qualche spicciolo. 

Se riduciamo l'immagine alla sua struttura geometrica, ci accorgiamo che si tratta di un triangolo isoscele; i tre vertici sono costituiti dalle sagome umane. Va aggiunta, infine, una linea ideale di collegamento tra il triangolo e l'insegna della celebre maison parigina, andando a costituire una figura simile a un razzo.

Studium e punctum, contesto e identità visiva, come distinguerli nel nostro razzo? Coincidono. Sono qui inseparabili, sinonimi, doppi, come avviene in tutti i capolavori. Sono due fiction speculari – la messa in scena teatralizzata, patetica, dell'indigenza, e quella del lusso – che però non si riflettono. Sono uno specchio rotto, sono quel che vediamo nei suoi cocci.

E ciò che vediamo è un virus, sì, ma dell'anima, che fraziona e finziona ogni collante umano, con i luoghi fisici che contengono senza più generare appartenenza, scambio, empatia. Il fatto che l'autore sia anonimo non fa che incrementare la potenza iconica, come nei testi sacri e negli antichi miti.

Un virus e un razzo, abbiamo detto. Come quelli spediti tra le stelle per dire di noi, del tempo vissuto e della sua maggior parte smarrita, dissipata nella duplicazione, tra i pixel, in cui cerchiamo ciò che amiamo (i nostri totem, i nostri tabù) discostando lo sguardo da ciò che disprezziamo, forse perché fa paura; se a noi ancora sfugge, lo scopriranno eventuali civiltà aliene quando apriranno lo scrigno un po' acciaccato del veivolo, riesumando i resti di un'antica civiltà sfiorita sul pianeta Terra.

Magari, assieme alla fotografia, potremmo aggiungere una sinfonia di Beethoven, l'equazione di Einstein e un video di Umberto Smaila che canta Maracaibo, a una serata al Billionaire. E poi via, destinazione universo!

 

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