giovedì 27 luglio 2023

Vite parallele



Sinead O'Connor e io avevamo la stessa età. Coscritti si dice, così vengono chiamati i ragazzi che vanno in guerra, scarpe grosse e un paio di tavolette di cioccolato nello zaino, l'M14 come un nuovo giocattolo. Noi però siamo nati in tempo di pace, una pace che sembrava non avere mai fine, a parte qualche eco remota che proveniva dal Vietnam. Era il 1966, l'anno in cui Simon and Garfunkel pubblicano l'album Sounds of Silence. Le note della canzone omonima – "hello darkness, my old friend /I've come to talk with you again..." – fanno da colonna sonora alla scena della piscina, al centro galleggia un materassino color cioccolato. Supino sta disteso Dustin Hoffman fissando il cielo con degli occhiali scuri che ne imbronciano l'espressione, il film è naturalmente Il laureato, quando finalmente si immerge lo spettatore dovrebbe pensare a una sorta di catarsi, ma io ho sempre pensato a dove fossero finiti gli occhiali, immaginandoli andare lentamente a fondo e posarsi su piastrelle azzurrine. Nel montaggio la sequenza viene alternata con gli amplessi assieme a una donna, Mrs. Robinson, che allora si diceva matura e ora MILF; se ho ben capito, significa Mother I'd Like to Fuck. A quanti anni si diventa donne mature, e quand'è che la maturità, il tempo, il trasformarsi delle cose in altre cose simili ma un po' ammaccate, è diventata oggetto di spregio? Sinead viene al mondo l'8 dicembre, io il 19 aprile. Al momento dello scatto, quasi simultaneo, di entrambe le fotografie, si erano già alternati molti titoli d'apertura sui quotidiani nazionali: via il Vietnam e dentro lo scandalo delle carceri d'oro, Er Canaro che tortura e infine uccide un pugile rinchiuso in una gabbia per cani. Osservando con attenzione le immagini, spicca l'atteggiamento strafottente di quel ragazzo con i baffi e la zazzera, fissa l'obiettivo con sfida senza abbassare lo sguardo; dall'altra parte si intuisce un nemico o un'amante da sedurre, che poi è lo stesso. Vita. Ma ancora potenziale, involtolata, un'ombra imbronciata su un materassino che la separa dal liquido che sciaborda tiepido e invitante. Passando di fronte allo specchio del bagno per andare a pisciare, ritrovo solamente la strafottenza di quei giorni; c'è ancora anche l'ombra, ma diluita come il pittore maldestro diluisce l'impasto della tempera con troppa acqua. Prima mancava, adesso ce n'è troppa, allaga. Sinead è qui invece tutta ombra, altrove con lo sguardo tanto da restituire la sensazione opposta: uno scoiattolino che fa spazio, dentro a occhi enormi, alle infinite sfumature del bosco. In lei non c'è traccia della strafottenza a cui il successo avrebbe potuto indurla, ciò che vediamo e non vediamo per suo tramite è puro accadere. Ma erano gli anni Ottanta, come facevi a non essere vita negli anni Ottanta, a non essere tutt'uno con una luce fortissima e senza parole e senso e in fondo neppure luce; i mistici gli danno nomi diversi, Carmelo Bene la chiama depensamento. Si depensava bene negli anni Ottanta, posso dire solamente questo, si stava meglio che nel finto pensare, scrivere, almanaccare pubblicamente sui social. Ma torniamo alle fotografie. Sorridi, no, non sorrido, faccio il bel tenebroso, non è difficile risalire a quel che mi passava allora per la testa. E nel cranio rasato di Sinead? Non si capisce, non si è mai capito. La successiva adesione all'Islam, l'immagine del Papa stracciata, il figlio suicida e la ricerca di un nuovo fidanzato su internet, tutte tessere dello stesso enigma. Eppure, nel momento in cui il suo volto si imprime sui cristalli di alogenuro d'argento, sembrava un'esistenza tanto semplice, non diversa dall'equazione semplificata a cui il mondo veniva ricondotto. Lei era quella che si rasa i capelli a zero. Punto. Così si fa prima a disegnarla sul diario. Intanto sulla torta le candeline erano salite a ventitré, due torte per la precisione, una a Sondrio e una a Dublino, tante quante le battaglie combattute dai coscritti nella loro guerra di marzapane. Sulle sue candeline ci soffiava il mondo intero, le strillavano BRAVA, ancora, bis, e l'aria che si accompagnava all'emissione della voce spegneva una fiamma che non si è più riaccesa. Non so se qualcuno abbia mai detto bravo a me; di certo non mio padre o mia madre, i miei amici. Poco importa, io depensavo felicemente a bordo della mia Vespa PX 125 bianca, impennavo leggermente quando compariva la luce verde al semaforo, a settembre puntuale l'esame di riparazione in matematica, andavo in palestra e da un parrucchiere che si chiamava Equipe 2000, ancora undici e ci saremmo finalmente arrivati. Era infatti il 1989, erano gli anni Ottanta, erano... Ma questo l'ho già detto, come tutti i vecchi tendo a ripetermi.

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