martedì 11 luglio 2023
Trenta gradi, o sul confine termico dell'Occidente
E se il caldo fosse una metafora politica, o
addirittura un segno profetico? Quando ero bambino il confine tra Europa e
Africa – noi qui e loro là, ben separati – più che dal mar Mediterraneo era determinato
dalla colonnina di mercurio, a trenta gradi la dogana. Minchia che caldo!
si esclamava quando questa soglia veniva superata. Pare di essere in Africa. Cosa
che avveniva solamente in estate, naturalmente. D’inverno l’Africa era quella
dei documentari sulla leonessa Elsa; li guardavamo alla Tivù dei
ragazzi mentre il sole alle quattro del pomeriggio già dileguava dietro al Pizzo del Becco. Poi
arrivava la primavera, in cui dell’Africa ci si era un po’ scordati; solo i
soldatini dell’Afrikakorps la richiamavano di tanto in tanto, o gli elefanti del circo
Medrano. Fino al ripresentarsi di una nuova estate, in cui il termometro ricominciava
a salire: ventisette, ventotto, ventinove… Eccoli lì, trenta gradi! Tutto ciò che veniva in più era
Africa, da ricercare in una trasfigurazione del giardino in jungla, tra
l’oleandro e il baobab. Ma accadeva raramente, soprattutto al Nord dove abitavo
io. Ora invece, da giugno a settembre, è quasi sempre Africa, per quanti
condizionatori accendiamo nell’intento di arginare la deriva dei continenti.
Non ottengono migliori risultati le motovedette che cercano di fare
invertire la rotta ai gommoni colmi di migranti. Vengono a prendersi ciò che in
fondo già gli appartiene, quel confine immaginario è tatuato anche sulla loro
pelle, per questo è un poco più scura della nostra. Trenta gradi, a certe
biologie, prima che culture, fanno un baffo. Trenta gradi, come lo sparo che dà
l’avvio a una regata nautica. La bussola è costituita da un vento tiepido, di
più, rovente, che sa di casa. La grande casa dell'Europa africanizzata. Un
destino, prima termico e poi politico, che potremmo scorgere nel volo dei gabbiani, se solo alzassimo lo
sguardo dal display dove consultiamo 3BMeteo. Hanno preso il posto dei fagiani a rasentare gli affluenti settentrionali del Po. Un volo planare, da alianti più che da droni scattosi, che all'improvviso si converte in micidiali picchiate, in cui ghermire le loro prede guizzanti. Trenta, trentuno, trentasette o quaranta gradi. Passata quella soglia le distinzione perdono di significato, dileguano anch'esse dietro al Pizzo del Becco. Vengono colte solo dalla fronte degli anziani; la tergono di continuo con fazzoletti bianchi ancora piegati, come quando erano bambini e la mamma li invitava a farne un uso parsimonioso. Poi gettano la loro carta sul tavolo, settebello e scopa, ciapalì, dioboia!
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Durerà solo luglio, ad agosto piogge torrenziali monsoniche e smottamenti di terreno che in Sud Sudan neanche si sognano.
RispondiEliminaBen vengano. Meno gli smottamenti ma come si dice: non si può avere botte piena e moglie ubriaca.
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