mercoledì 5 luglio 2023

Mi piace il cazzo

Il 2 luglio, a Carpi, il disciolto gruppo di Elio e le Storie Tese si è riunito per un concerto, o meglio e come viene indicato sui manifesti un concertozzo. Undici giorni prima sul palco del museo Maxxi di Roma, Morgan e Sgarbi hanno conversato pubblicamente in un tono che a loro deve essere apparso amabile, ad altri detestabile.

Non entrerò nella polemica, non mi interessa. Registro solamente che le due circostanze sono unite da un invisibile filo; per abitudine lo immagineremo rosso, di un bel rosso vermiglio. Se portato ad evidenza, può forse raccontarci qualcosa sulla natura del gesto estetico, oltre e più in generale sul nostro tempo.

Esiste infatti una figura retorica, si chiama antifrasi e consiste nel fare un'affermazione per comunicare, in conseguenza del contesto o dell'intonazione con cui viene pronunciata, il suo opposto. Ad esempio dando a qualcuno del fenomeno, ma va' che sei proprio un fenomeno, per sottolineare ironicamente una qualche sua mancanza.

Se aggiungiamo alla figura dell'antifrasi quella dell'iperbole, abbiamo la cifra stilistica del gruppo musicale: individuare le frasi fatte, i virus linguistici, i cliché sociali e quindi fingere di aderirvi in forma ingigantita, come fanno i caricaturisti che da un naso leggermente pronunciato ricavano una proboscide. La differenza con la satira politica è che non c'è un singolo personaggio di cui esorbitare le manchevolezze, ma un'intera legione di demoni.

Lo hanno naturalmente fatto anche al Concertozzo di Carpi, attraverso il consueto modo di operare sui materiali prelevati da discorsi che non potrebbero essere più comuni, per farli brillare a nuova vita. Un risultato ottenuto per il tramite di un altro processo espressivo, lo straniamento. Metti un orinatoio in una galleria d'arte e, voilà, ecco un capolavoro! Il reperto più sorprendente coincide con il successo dei Queen We Are the Champions, ma con il testo del refrain sostituito dalla frase "mi piace il cazzo".

Ascoltandoli, uno non pensa come sono caduti in basso, ma come, tutti quanti noi, stiamo precipitando in abissi nominabili solo per mezzo di storpiature retoriche, che rivelano il tuorlo assurdo celato dal guscio dell'ovvio. La goliardica proclamazione di gusto genitale, che fa ridere come al bambino dire la parola cacca, finisce così col riverberare i giorni che viviamo in decadenti e mal assortite comunità, ed è impossibile chiamarsi fuori con piglio sdegnoso. No, a me piace il concerto n° 3 per pianoforte e orchestra di Rachmaninov. Ma va a cagher!

Al contrario, è proprio la dissociazione perbenista a prevalere, anche all'interno del proprio schieramento politico, tra le reazioni alla discutibile performance al Maxxi. Forse perché lo speculare mi piace la fica pronunciato da Sgarbi era letterale, non retoricamente formulato. Parlava in nome proprio, non faceva da specchio ironico a qualcun altro, il pronome io sembra essere l'unico conosciuto dal critico ferrarese.

Eppure, anche nel suo caso, si avvertiva una sorta di eco, il coro nella tragedia greca che subentra ai destini individuali. Il tutto però più terra terra, a prendere parola era in questo caso il brusio di una squadra di calcetto sotto la doccia.

Ma è qui che il ragionamento si inceppa, e per una volta provo l'impulso a difendere l'indifendibile Sgarbi. È un dubbio, intendiamoci, non una conclusione certa. Assume dunque forma interrogativa: possiede ancora la nostra cultura una gerarchia tra alto e basso, pop e sublime, museo capitolino e film porno?

Non direi, la postmodernità ha fatto piazza pulita di ogni tensione all'auto trascendenza, e come del tutto legittima è l'ironia di Elio e le Storie Tese, lo diviene anche la sottocultura da spogliatoio di cui si burla, quand'anche prendesse la piega sessista dell'enumerazione compiaciuta delle proprie e altrui conquiste femminili, le cosiddette tacche sulla pistola. Che è per l'appunto quanto ha fatto Sgarbi imbeccato da Morgan.

Liberissimi naturalmente di non andare al Maxxi ad ascoltare entrambi (io non l'avrei fatto, prefigurando un copione facilmente prevedibile che conduce allo sbadiglio, più che allo scandalo), ma la declinazione aggiornata del concetto di Occidente è anche, se non soprattutto, fatta di questi siparietti in cui ciascuno batte ostinatamente il suo tamburo, come cantava Lou Reed.

Fuor di metafora, significa il grado zero del piacere, senza più alcuna sovrastruttura legale a contenerlo in una dimensione privata, altrimenti detta o-scena. Poco importa allora anche il fatto che Sgarbi sia Sottosegretario alla Cultura, il potere che esprime ha dismesso ogni carattere di esemplarità virtuosa e di limite censorio al godimento, che secondo Freud definiva il perimetro civile.

L'unico discrimine diviene la scelta dello spogliatoio in cui darsi di gomito; non sono più solo due, maschi, femmine, ma molti di più, quanti i generi post sessuali. Piaceri. Dispiaceri. A ciascuno in piena libertà, tra cui quella di pisciare fuori dalla tazza del buon gusto. E se non gradiamo la senile esibizione di celavevodurismo di Sgarbi, possiamo sempre spostarci al Concertozzo di Elio e cantare a squarciagola: mi piace il cazzo, oh oh oh oh oh, mi piace il cazzo...


PS - A scanso equivoci, trattasi di antifrasi anche il titolo di questo post.

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