lunedì 17 luglio 2023

Se ti togliamo ciò che non è tuo


Un paese è un pentolone geografico pieno di storie. In genere si rispecchiano, come l'uovo non si sa se sia nato prima della gallina, ma è più semplice partire dalle seconde per risalire al primo. La storia di Daniela Garnero, ad esempio. Si tiene il cognome dell'ex marito, il chirurgo plastico Paolo Santanchè, perché le appare carico di un allure che teme mancare al proprio. Fa tutt'uno con quella del nuovo compagno Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena Piast Bielitz Bielice Belluno Spalia Rasponi Spinelli Romano Principe Dimitri Miesko Leopoldo, che di suo ha solamente il nome di battesimo, i titoli nobiliari se li è inventati il padre di sana pianta al momento dell'iscrizione all'anagrafe del figlio.

Immagino la faccia del delegato comunale nell'udire quella risposta, dopo che aveva domandato, Allora, eh, abbiamo deciso come chiamarlo? Ma immagino anche - e questa è davvero immaginazione - una simile risposta da parte dei miei genitori, eravamo nel pieno degli anni Sessanta e Leonid Il'ič Brežnev era appena stato eletto.segretario generale dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Unite. Mio padre si avvicina allo sportello e sussurra: Guido Gran Faraon Lup Mannar, sì, Mannar come Cynar, scriva scriva, Gran Visir e Magnifico Sultano.

Invece che come il personaggio di un film di Fantozzi, mi hanno però chiamato solamente Guido; Guido Savio per la precisione, il secondo nome faceva da buon (e inatteso) auspicio. Solo mia nonna insinuava che mi chiamassi anche Maria, il suo stesso nome che avrebbe fatto aggiungere con qualche prebenda al curato nel registro della parrocchia, nessuna traccia all'anagrafe di Sondrio.

Non che mi manchi un'etichetta in più, ma io quel Maria me lo terrei volentieri, e non ho nulla da obiettare alla fantasiosa sfilza di titoli accampati dal fidanzato di Daniela Garnero, in arte Santanché. L'aristocrazia è un palloncino gonfiato da antiche eruttazioni post prandiali - persone che sentono di valere più di altre per il solo motivo di avere la pancia piena, non di fare qualcosa con merito e dedizione - e potrà essere fatto esplodere solo attraverso un supplemento gassoso. Il meccanismo è quello economico dell'inflazione: quando tutti saranno nobili non lo sarà più nessuno, puff, palloncino scoppiato. I titoli aristocratici si mostreranno così per ciò che sono, banconote del Monopoli.

Per questo, cinque anni fa, ho acquistato un appezzamento di un metro quadro in Scozia, forse anche qualcosa in meno; e comunque un corazziere sull'attenti ci sta tutto, spazio in alto quanto ne vuole, pure per l'elmo con il pennacchio. Secondo una legge medievale tutt'ora in vigore, il possesso della terra, non importano le dimensioni, da solo costituisce l'accesso ai gradi minori dell'aristocrazia con il titolo di Laird, equivalente scozzese di Lord. Insomma, chiamatemi Lord Guido Savio Maria Hauser e facciamo prima. 

Ma scopro che esiste un'altra via - potremmo chiamarla all'opposto deflattiva - per sgonfiare con lenta progressione le presunte ipoteche dinastiche, di cui il cognome rappresenta l'incrostazione borghese. Basta togliere una lettera a ogni generazione: il signor Brambilla ha un figlio che si chiamerà Brambill, a sua volta genererà un Brambil, quindi Brambi, Bramb e così via. Alla fine, anche dei Kunz d’Asburgo Lorena Piast Bielitz Bielice Belluno Spalia Rasponi Spinelli Romano non resterà più nulla, solo quell'attributo, Principe, a cui i più sboccati faranno eco: Sì, Principe di 'sto cazzo! E giù una bella pernacchia, seguendo la tecnica mostrata da Eduardo nell'Oro di Napoli.

Vittorio Gassman l'aveva intuito, bravo!, peccato che il figlio Alessandro ha poi ripristinato la enne che aveva eliminato dal cognome, ritornato e come in origine Gassmann. Ma non possiamo fargliene una colpa, se avesse proseguito con la fresa linguistica del padre si chiamerebbe ora Gasma, che per un attore non suona tanto bene; ricorda una malattia, l'esiziale gasma bronchiale. È dunque più che perdonato, ma pensiamoci... Via una lettera a ogni giro, fino a che i nostri nomi rifletteremmo ciò che all'essenza già non siamo.

Milo De Angelis, come accade ai veri poeti, ci è arrivato prima e meglio di altri. In una sua bella poesia ci mostra un gruppo di medici, sono chirurghi scopriamo dopo qualche riga, camminano imperiosi al centro della corsia dove ciabattano i malati in pigiama, che si scostano al loro passaggio. Le busta delle radiografie sotto braccio, discorsi leggeri, sorrisi complici tra loro. Ma guai a incrociarne lo sguardo, più pericoloso di quello di Medusa. A cui il poeta restituisce la voce in forma di ammonimento: "se ti togliamo ciò che non è tuo \ non ti rimane niente”.

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