sabato 17 dicembre 2022

Limiti

“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.”

Ripensavo al monito di Qoelet ascoltando la pressoché unanime acclamazione di Sofia Goggia, che ha vinto, ieri, la discesa libera a St. Moritz. E fin qui nulla di nuovo, ogni gara prevede un vincitore. Solo che lei ha vinto con una doppia frattura alla mano sinistra, per la quale è stata operata il giorno precedente. Quindi subito un aeroplano, una manciata di antidolorifici, gli scarponi e gli sci ai piedi e via!

Bene, brava, anche io mi complimento. Ma il tempo della convalescenza, mi chiedo? È come nel Monopoli, si salta dalla sala operatoria al podio senza passare dal via. Manca la mediazione di una ripresa progressiva; nei tarocchi marsigliesi assume il simbolo della Temperanza: una ninfa che, nei pressi della fonte, versa l’acqua da una brocca a un’altra. La rigenerazione non è un geyser, una cascata, un'onda anomala, sembra comunicarci l'immagine. "Ci va tutto il tempo che ci va", cantava Paolo Conte. "Non basta un attimo, attimo, attimo..."

Lo sport può rappresentare, e ha rappresentato, un modello formativo importante, ponendo le persone di fronte alla fondamentale esperienza del limite. Come le due brocche per l’acqua, gli argini sono qui costituiti dall’avversario e dalle possibilità limitate del proprio corpo, che non coincidono con la volontà. Negli ultimi decenni questa percezione sta però venendo meno. Lo vediamo in tutti i campi, e anche la psicanalisi ha messo a tema la novità, rinominandola, nel lessico vagamente fumoso di cui si ammanta, come caduta della legge del padre.

Semplificando, la legge del padre è quella che impedisce la realizzazione del desiderio incestuoso, a questo modo ponendo il primo mattone su cui costruire le future metropoli, il tabù a fondamento della civiltà. Ma, per estensione, diviene una sorta di principio universale di contenimento e dilazione, per cui non è possibile ottenere tutto e subito; ma nemmeno i due termini disaccoppiati: sia tutto, sia subito.

Abbiamo così una riformulazione aggiornata del passo di Qoelet: è sempre tempo (ma anche luogo) per realizzare ogni desiderio. I greci distinguevano il tempo cronologico, χρόνος (khrónos), come la divinità eponima dell'orfismo, dalla manifestazione temporale di un'opportunità, che prendeva la forma linguistica di καιρός (kairos). All’antico tempo opportuno, per simmetria alla teoria freudiana, segue ora un tempo che potremmo chiamare materno, o ancora più precisamente “nonnario”: quei nonni complici che tutto consentono ai nipoti, anche di appiccare il fuoco alla coda del gatto.

La vittoria di Sofia Goggia con la mano rotta diviene emblematica espressione di questo tempo senza lancette, addirittura un nuovo e gioioso evo storico in cui è sempre il momento giusto: just do it, o se si preferisce yes you can, come recitava il felice slogan della campagna elettorale di Obama.

Peccato che non sia vero, e quella di Obama e Sofia Goggia sono fortunate eccezioni a una regola che non è mutata nei secoli. Forse sarebbe il caso di ricordarlo, e di non celebrare solamente chi infrange ogni limite, con il tacito avallo di nonni che ci fanno l'occhiolino. Diversamente, casi isolati rischiano di diventare una pericolosa pedagogia.

Per ogni Obama, ogni Sofia Goggia ci sono infatti milioni di persone per cui non è ancora arrivato il proprio tempo. E quando accendono il televisore e vedono il mondo in festa per i fortunati pochi che sfidano e vincono anche le leggi del tempo, infrangono ogni umano limite del corpo e degli dèi, pensano di essere vittime del fato. O ritradotto in linguaggio moderno: degli sfigati. 

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