giovedì 8 dicembre 2022

Dirupi

Una cugina di mio nonno paterno, negli anni Trenta del secolo scorso, si gettò da un dirupo precipitando nel lago di Como. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Nello spensierato clima del dopoguerra, dallo stesso cornicione di rocce, nelle stesse acque gelide e scure, replicò il gesto la figlia. Anche lei morì, si suicidò come aveva fatto la madre a un'età che pure corrispondeva.

Non conosco i nomi di entrambe, la loro storia e le motivazioni che portarono a quella scelta, tanto più inquietante nella sua esatta simmetria. In famiglia non se n'è mai parlato volentieri. Tabù familiari li chiamava la psicologa e psicanalista francese Anne Ancelin Schützenberger, che ha fondato una disciplina – la psicogenealogia, sembra uno scioglilingua – nella quale vengono indagati i comportamenti familiari ricorsivi, copioni occulti a cui non basta una sola messa in scena.

Ciò che da lei ha ricevuto battesimo, oltre a un robusto supporto casistico, rientra nell'intuizione di molte tradizioni precedenti, anche spirituali. In fondo, quando Gesù esorta a lasciare la famiglia per seguirlo, di più, a odiarla, dice qualcosa di simile: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo.” (Luca 14:26.)

Conosco il passaggio evangelico solamente in traduzione, non so dunque quale sia il verbo greco con cui viene espresso l'odio nel testo – forse στυγέω, oppure μῑσέω... Mi si potrebbe rispondere: vai a cercartelo e non rompere le scatole. È vero, è quello che dovrei fare. Ma temo la verifica. Preferisco credere a un errore di traduzione, o a una vigliacca interpolazione successiva di cui sono colme le Scritture.

L'odio è infatti la forma di legame più forte, non scioglie ma incatena; addirittura, delle catene, rappresenta una malattia, come la chiamava Nietzsche. Il suo radicale anticristianesimo troverebbe così un'inaspettata convergenza con le parole di questo mio Gesù personale, ognuno ne possiede uno, lo cantavano i Depeche Mode. Per non ricalcare gli stessi passi degli antenati, compreso quelli che conducono al fondo di un lago, non basta destituirne il magistero, ma bisogna liberarsi dalle catene dell'odio che a loro continua a ricondurre, è speculare ai nastri rosa e azzurri dell'amore. Solo a tale condizione può realizzarsi l'invito del filosofo a diventare ciò che si è.

Un esito curiosamente simile a quello del Regno evangelico, che, secondo Jung, coincide con il proprio sé più profondo, e non con il paese bello e spazioso in cui scorrono fiumi di latte e miele – in realtà, in Esodo 3:8, i fiumi sono di mestruo e sperma; è anche questo un errore di traduzione dall'ebraico, un abbellimento frutto della leziosa sensibilità alessandrina che ha dato forma alla versione della Bibbia dei Settanta. Gli ebrei erano gente più schietta, con i piedi e le metafore ben piantati a terra.

Una divergenza linguistica che mi fa sentire libero di ritradurre la buona novella. Basta con l'odio, con le catene, con i sentieri familiari da ripetere passo a passo. Le colpe dei padri non solo ricadono sui figli fino alla terza e alla quarta generazione, ma li fanno a loro immagine e somiglianza. Chi è senza peccato non scagli la prima pietra, ma butti via lo specchio adulterato di vecchie fotografie, battesimi, matrimoni, in cui il posto a tavola che ci spetta è già disposto anche se non eravamo ancora nati. Diventiamo piuttosto ciò che siamo, offrendo parole nuove a vecchie storie.

Un altro filosofo, brusco e idiosincratico quanto Nietzsche, suggeriva che i confini del nostro linguaggio rappresentano i confini del nostro mondo. E chissà che la mia lontana biscugina, se avesse posseduto parole diverse dalla madre, parole sue, non avrebbe costruito una diversa narrazione; soprattutto nel finale, in cui ci si gioca gli applausi del pubblico. Ma quale pubblico, avrebbe ad esempio potuto dire. Io sono io, non la famiglia che osserva il mio corpo sprofondare, le sottovesti candide dischiudersi come danza rallentata di medusa.

Non mi sostituisco a lei nell'immaginare una biografia alternativa, la ricordo come ha voluto essere ricordata: con un tragico colpo di teatro. Ma questa minima vicenda privata mi consegna un avvertimento più generale. Non lasciamoci, noi pure, sostituire dalle madri, dai padri, nonni, perfino da quella parentela più estesa che si chiama nazione, da Putin e Xi Jinping e tutte le bandiere da onorare sull'attenti, nell'immaginare dirupi per noi!

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