Una cugina di mio nonno paterno, negli anni Trenta del secolo scorso, si
gettò da un dirupo precipitando nel lago di Como. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Nello spensierato clima del dopoguerra, dallo stesso cornicione di
rocce, nelle stesse acque gelide e scure, replicò il gesto la figlia. Anche lei
morì, si suicidò come aveva fatto la madre a un'età che pure corrispondeva.
Non conosco i nomi di entrambe, la loro storia e le motivazioni che
portarono a quella scelta, tanto più inquietante nella sua esatta
simmetria. In famiglia non se n'è mai parlato volentieri. Tabù familiari li
chiamava la psicologa e psicanalista francese Anne Ancelin Schützenberger, che
ha fondato una disciplina – la psicogenealogia, sembra uno scioglilingua –
nella quale vengono indagati i comportamenti familiari ricorsivi, copioni
occulti a cui non basta una sola messa in scena.
Ciò che da lei ha ricevuto battesimo, oltre a un robusto supporto
casistico, rientra nell'intuizione di molte tradizioni precedenti, anche
spirituali. In fondo, quando Gesù esorta a lasciare la famiglia per seguirlo,
di più, a odiarla, dice qualcosa di simile: “Se uno viene a me e non odia suo
padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua
propria vita, non può essere mio discepolo.” (Luca 14:26.)
Conosco il passaggio evangelico solamente in traduzione, non so dunque
quale sia il verbo greco con cui viene espresso l'odio nel testo – forse στυγέω, oppure μῑσέω... Mi si potrebbe rispondere: vai a cercartelo e non rompere
le scatole. È vero, è quello che dovrei fare. Ma temo la verifica. Preferisco
credere a un errore di traduzione, o a una vigliacca interpolazione successiva
di cui sono colme le Scritture.
L'odio è infatti la forma di legame più forte, non scioglie ma incatena; addirittura,
delle catene, rappresenta una malattia, come la chiamava Nietzsche. Il suo
radicale anticristianesimo troverebbe così un'inaspettata convergenza con le
parole di questo mio Gesù personale, ognuno ne possiede uno, lo cantavano i Depeche Mode. Per non ricalcare gli stessi passi degli antenati, compreso
quelli che conducono al fondo di un lago, non basta destituirne il magistero,
ma bisogna liberarsi dalle catene dell'odio che a loro continua a ricondurre, è
speculare ai nastri rosa e azzurri dell'amore. Solo a tale condizione può
realizzarsi l'invito del filosofo a diventare
ciò che si è.
Un esito curiosamente simile a quello del Regno evangelico, che, secondo Jung, coincide
con il proprio sé più profondo, e non con il paese
bello e spazioso in cui scorrono fiumi di latte e miele – in realtà, in
Esodo 3:8, i fiumi sono di mestruo e sperma; è anche questo un errore di
traduzione dall'ebraico, un abbellimento frutto della leziosa sensibilità
alessandrina che ha dato forma alla versione della Bibbia dei Settanta. Gli ebrei erano gente più schietta, con i piedi e le metafore ben piantati a terra.
Una divergenza linguistica che mi fa sentire libero di ritradurre la buona novella. Basta con l'odio,
con le catene, con i sentieri familiari da ripetere passo a passo. Le colpe dei
padri non solo ricadono sui figli fino alla terza e alla quarta generazione, ma
li fanno a loro immagine e somiglianza. Chi è senza peccato non scagli la prima
pietra, ma butti via lo specchio adulterato di vecchie fotografie, battesimi,
matrimoni, in cui il posto a tavola che ci spetta è già disposto anche se non
eravamo ancora nati. Diventiamo piuttosto ciò che siamo, offrendo parole nuove
a vecchie storie.
Un altro filosofo, brusco e idiosincratico quanto Nietzsche, suggeriva che i confini del nostro linguaggio
rappresentano i confini del nostro mondo. E chissà che la mia lontana
biscugina, se avesse posseduto parole diverse dalla madre, parole sue, non
avrebbe costruito una diversa narrazione; soprattutto nel finale, in cui ci si
gioca gli applausi del pubblico. Ma quale pubblico, avrebbe ad esempio potuto
dire. Io sono io, non la famiglia che osserva il mio corpo sprofondare, le
sottovesti candide dischiudersi come danza rallentata di medusa.
Non mi sostituisco a lei nell'immaginare una biografia alternativa, la
ricordo come ha voluto essere ricordata: con un tragico colpo di teatro. Ma
questa minima vicenda privata mi consegna un avvertimento più generale. Non
lasciamoci, noi pure, sostituire dalle madri, dai padri, nonni, perfino da
quella parentela più estesa che si chiama nazione, da Putin e Xi Jinping e
tutte le bandiere da onorare sull'attenti, nell'immaginare dirupi per noi!
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