mercoledì 11 agosto 2021

Muhammad Ali come Maria Callas




Muhammad Ali come Maria Callas. Un'equivalenza che ho realizzato osservando un vecchio cane giocare ai giardinetti; era il più piccolo e acciaccato, ma si imponeva sugli altri cani. Entrambi nascono con una diversa iscrizione anagrafica: Cassius Clay e Cecilia Sofia Kalos. Non so se conoscessero il pensiero di Nietzsche, ma per diventare ciò che si è, sembrano pensare, il primo passo è quello di congedarsi dal nome di battesimo, e assumerne uno diverso come fanno i monaci nel prendere i voti. Con quel nome nuovo di zecca possono tutto, ma per breve tempo. Poi inizia un lunghissimo declino, in cui alla voce della Callas sfuggono note che fino a un attimo prima erano grappoli d'uva su una pergola, bastava allungare la mano e afferrarle, mentre il corpo di Ali incassa colpi pesantissimi, si piega, barcolla, utilizza le corde come rifugio da una sconfitta che appare inevitabile e imminente. Ma c'è sempre un momento, negli spettacoli della prima e negli incontri del secondo, in cui la volontà subentra al destino, e lo ribalta. È la rapida serie con cui Ali atterra Foreman nel match del secolo, Rumble in The Jungle, dopo avere fatto da pungiball per sette interminabili round, o la commozione istrionica, il timbro, la gestualità con cui la Callas riesce a superare (e vincere) i subentrati limiti vocali, causati da una malattia degenerativa dei muscoli che la consuma da dentro. Tutto il resto li divide: gli yacht di Onassis; le battaglie civili a fianco di Malcolm X; le vacanze e l'amore impossibile per Pasolini; le smorfie e le sbruffonate futuriste. Al netto del setaccio della cronaca, rimane la farina purissima di due figure, fin troppo umane, che vengono trasformate dal talento in divinità; ma allo svanire progressivo di quel talento precipitano dalle pendici dell'Olimpo in mezzo agli uomini, alle donne, ai cagnetti acciaccati, diventando finalmente e per sempre ciò che sono. E per questo li rimpiangiamo.

1 commento: