martedì 17 agosto 2021

Strappa da te la vanità, o sui talebani a Kabul

Sull'entrata dei Talebani a Kabul non ho nulla da dire. Ma lo dico lo stesso, alla vezzosa maniera di John Cage esprimo il mio niente di niente, partecipo al banchetto di parole che presenta questo menu del giorno, è a prezzo fisso di una manciata di dati da versare a Mr. Zuckerberg.

Mi piace però credere che sugli archivi che mi profilano rimanga traccia anche di pochi versi, appartengono ai Canti pisani di Ezra Pound: "Strappa da te la vanità, / ti dico strappala. / Ma avere fatto in luogo di non avere fatto / questa non è vanità... "

Mi chiedo quindi se fosse giusta la presenza degli americani in Afghanistan, e non so rispondere neppure a ciò. Inizio invece a intuire la natura della profusione di parole che mi assediano – a volte indignate, altre accorate, disperate, rabbiose  e che chiamiamo la democrazia social. Parole, parole, parole, come nella canzone di Mina.

John Langshaw Austin, con una conferenza ad Harvard nel 1955, inaugura la teoria degli atti linguistici. Anche le parole sono atti egli dice, con una precisa ricaduta sul reale. Il mondo sarebbe diverso senza le parole di Gesù, che non lavorò un solo giorno in vita sua; l'unico gesto concreto che mi viene in mente è quello di lavare i piedi agli apostoli, profondamente sorpresi dalla novità.

Gli disse Simon Pietro: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!» Ma poi, parzialmente convinto dalle parole di Gesù  che ancora una volta si traducono in atto , Giovanni fa pronunciare a Pietro una frase di splendida ironia: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!».

Oggi è come se in molti chiedessero all'America lo stesso: non solo di lavare i piedi all'Afghanistan per ricacciare indietro i talebani, ma di lavare le mani e il capo a tutti i problemi che ci affliggono, dopo aver marciato per anni per rivendicare il contrario. Via dall'Iraq, dal Vietnam, dalla Corea, via l'America da tutto ciò che non sia un campo da baseball o una lunga pista di legno, il suono dolce dei birilli che si fanno lo sgambetto. Un atto linguistico anche l'insegna luminosa con cui comporre la parola bowling.

Ma questo dire dal ciglio dell'abisso di Facebook, possiamo ancora considerarlo un gesto, abbiamo una reazione tangibile (anche dilazionata) che consegua all'azione? Qualcosa da toccare con mano come il bambino dopo aver fatto la cacca.

A me sembra che venga smentita, almeno in parte, la teoria Austin. Non è un atto linguistico, e piuttosto traccia grafica che ritorna in forma di eco visuale, per restituirci, se siamo fortunati, una manciata di like: bravo, avo, avo, avo... Il tutto senza che il mondo ne esca minimamente scalfito.

Ma allora, direbbe Pound, se non è fare è vanità, anche queste mie parole lo sono. Negli anni trenta la meglio gioventù si arruolava nelle Brigate Internazionali, per contrastare la presa del potere da parte di Franco. Un gesto che, come sappiamo, non cambiò la storia, ma non fu ugualmente vanità. Fu un fare in luogo di non avere fatto.

Cosa facciamo invece noi, a parte un'inesausta geremiade del tutto priva di ricaduta sul mondo, e che si arresta alla superficie dello specchio? È a lei che allora mi rivolgo, la sagoma riflessa e stempiata e con una t-shirt color prugna, mi osserva mentre digito le parole che state leggendo, e le dico: strappa da te la vanità, ti dico strappala!

3 commenti:

  1. Ma se questi governassero saggiamente dico, così come rilasciano interviste sorridenti per strada.. hai visto mai? Quale smacco maggiore per tutto l'Occidente intero?

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  2. Chissà, può essere tutto, ma qualche ragione di inquietudine mi sembra fondata...

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    1. ..mi piacciono i sogni irrealizzabili, che a volte, solo perché li hai sognati, rientrano nel possibile..

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