sabato 14 agosto 2021

Io e noi, o su vaccini e filosofia


Un famoso scrittore mio coetaneo ha dichiarato che si suiciderà se dovessero introdurre l'obbligo dei vaccini, e in particolare di quello per prevenire il Covid. In realtà, in Italia già esiste l'obbligo per alcuni vaccini – con la Legge di conversione numero 119 del 3 luglio 2017, da quattro sono stati portati a dieci – ma non riguardano gli adulti, oltre a non essere previste azioni coercitive in caso di rifiuto da parte dei genitori.

Ho molto apprezzato alcune opere dello scrittore in questione, e anche lui mi sembra una persona carica di umanità. Mi rifaccio dunque a un esempio alto, a una persona che stimo, per fare alcune considerazioni generali sull'argomento.

Se addirittura viene preferito il suicidio all'essere vaccinati, la salute del corpo smette di essere il motivo che sottende all'opposizione – con il vaccino esistono remote probabilità di avere effetti collaterali anche gravi, mentre, con il suicidio, gli effetti esiziali sono certi – e a essere chiamata in causa è piuttosto l'inviolabilità del corpo.

Appaiono così del tutto inutili gli appelli alla ragione sanitaria dei no vax, quando le motivazioni si collocano su un piano simbolico, emotivo, in taluni casi possiamo azzardare la psicopatologia. Ma sarebbe sbagliato liquidare la cosa a questo modo, e mi sembra utile aprire il campo anche ad altri sguardi. Ad esempio quello della filosofia. 

Ciò che ci sta dicendo il bravo scrittore è che un numero rilevante di persone vive ora il corpo come qualcosa di estraneo alla sfera comunitaria (ci si vaccina anche per non contagiare gli altri), e viceversa un luogo che non può essere violato, un luogo sacro.

Per gli antichi romani, chi trasgrediva le leggi che regolavano il rapporto tra la città e gli dei veniva chiamato a questo modo: sacer, sacro. Un titolo che revocava automaticamente lo status di civis, confinando il reprobo in un limbo pregiuridico, in cui poteva essere ammazzato da chiunque ma non perseguito. Nessuna relazione era consentita con il suo corpo vivo, anticipando curiosamente uno scenario pandemico: carne infettata dal peccatum, da non sfiorare neppure per non essere contaminati, come nella casta indiana degli intoccabili. Perciò il sacro andava posto fuori, reso o-sceno, sciolto dai vincoli ma anche dai diritti comunitari. Tra cui, appunto, diremmo ora, quello di essere vaccinati.

Una pratica superata con l'affermarsi del cristianesimo, in cui il corpo diventa il tempio dell'anima, ma soprattutto attraverso la formazione del pensiero giuridico moderno, che viene fatto risalire all'Habeas Corpus act., approvato in Inghilterra nel 1679. Fu un documento di grande emancipazione civile, in cui veniva sottratto il potere – potere sul corpo, ancora – ai signorotti locali, per restituirlo all'autorità centrale che poteva invocare la presenza fisica dell'imputato in un regolare processo, consentendogli di difendersi dalle accuse. Il corpo diviene così la sede del diritto, è questa la novità introdotta dall'Habeas Corpus. Ma quel diritto si gioca in una sottile dialettica tra corpo e legge.

In un sentire nuovo e contagioso (mai aggettivo fu più funestamente appropriato...) a nessuna autorità è però consentito di "avere il corpo" di un libero cittadino, se non al corpo stesso. Se ne ricava che il sentimento di comunità con la sua formalizzazione statuale, in un clima che potremmo chiamare di "sacralità" diffusa viene meno, e bisogna iniziare a prefigurare un mondo di corpi irrelati, sacrum homini che vagolano come bandiere a garrire per il mondo – ma bandiere pirata, senza tetto né legge.

Oppure, come nelle fantasie complottistiche più lugubri, immaginare un colpo di mano da parte di un potere che intenda riprendere possesso dei corpi, e imporre non solamente i vaccini ma un controllo capillare del vivente, Michel Foucault chiamava questa torsione del potere biopolitica.

Gli scenari evocati dal romanzo di Orwell e rilanciati dalla lettera di Giorgio Agamben e Massimo Cacciari contro il Green Pass, non sono così del tutto estranei alla dimensione del possibile. Ma bisogna aggiungere che tale possibilità è suggerita, anzi e per paradosso promossa, da atteggiamenti non compromissori come quello del bravo scrittore, che intende interdire il proprio corpo a qualsiasi interferenza, chimica ma anche umana, ossia stabilire un confine invalicabile tra sé e ciò che percepisce come altro. Meglio della mescolanza con l'altro perfino la morte. In cui a essere cancellato è l'io, per non lasciare spazio al noi.

5 commenti:

  1. Un po' il tipo che si taglia i coglioni per far dispetto alla moglie.

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  2. Mah, secondo me c'è dell'altro: non è solo un gesto di dispetto verso l'altro - che è comunque una forma di relazione -, ma qui è proprio la relazione con l'altro a venire rifiutata.

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    1. Anche quella con se medesimi, a ben guardare, vista l'estremismo e l'irreparabilità del gesto.

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  3. Anche solo pensare il suicidio mi sembra un atto di disperazione.

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    1. È possibile Sara, ma preferisco non giudicare la persona, o fare delle ipotesi psicologiche sul suo conto. Ho così utilizzato la circostanza solo come innesco, e per quanto iperbolico mi pare che rimandi a un sentire diffuso, come ho provato a mostrare.

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