A volte mi viene il dubbio, meglio il sospetto,
meglio la convinzione che le persone molto impegnate – quelle che per parlargli
due minuti devi prenotare la telefonata il giorno prima, e rispondono solo
tramite WhatsApp – sotto il cumulo della loro agenda stracarica nascondano un
enorme cratere. Ma invece di lava incandescente, all’interno c’è una Pompei fissata nell’atto di compiere un gesto mai concluso; il cane che voleva
scappare ma è legato alla catena, le mani a protezione della testa, l’urlo di Munch. Una
specie di tableau vivant, a cui restano tanto più inchiodate quanto più si
dimenano nel loro frenetico ingaggio con il tempo dell'azione, come chi si dibatte
per uscire dalle sabbie mobili. Delle vere e proprie statue di fare.
La domanda a questo punto diviene storica, fino a
interrogare l’archeologia dell’anima. Chissà da dove proviene l’eruzione
originaria, a cui, come Plinio il Vecchio, li ha avvicinati una divorante
curiosità, tanto da rimanerne irrimediabilmente ustionati. Sarà allora per
non ripetere l’esperienza dolorosa che si iscrivono a corsi di lingue
mesoamericane, spada giapponese, danze maori, seconde lauree e specializzazioni
professionali, con l'immancabile cineforum d’autore. Ma qualsiasi cosa va bene,
piuttosto di incrociare lo sguardo del drago una seconda volta. Peccato che la
ferita non riesca a farsi cicatrice, segno placido sul corpo, e ogni giorno
debba essere suturata.
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