venerdì 26 ottobre 2018

Self godeur, o sulla clinica psichiatrica

A me i film di Renato Pozzetto fanno quasi sempre ridere, anche quelli brutti, che per inciso sono i più. Ma in particolare c'è una sequenza in Due cuori e una cappella, è uno dei suoi primi ruoli da protagonista, non doveva nemmeno recitare la parte del ragazzotto ingenuo di provincia perché lo era, ecco lì è davvero irresistibile!
Le risate diventano fragorose quando, dopo essersi spogliato completamente, quindi aver indossato una cuffia acustica voluminosa, entra in uno strano marchingegno pieno di cavi, lucine, manopole e lancette che ricorda un vecchio televisore a tubo catodico ibridato con un autolavaggio, ci sono anche due asticelle bianche che si muovono come tergicristalli.
"Mmmm, ahh, sìii…" 
Nessuna parola, la sua reazione è solo un gemito sommesso. Che si trasforma, mentre i tergicristalli continuano a oscillare festosi, in un chiaro mugolio di piacere. Ma certo, si tratta di un orgasmo!
Il senso, ironico, della scena, si precisa nel momento in cui viene nominato l'accrocchio, che si chiama "self godeur". Con quella giustapposizione tra inglese e pseudo francese che è la ciliegina sulla torta...
Ci ripenso spesso, al self godeur. Ci ripenso ogni volta che vado da uno psichiatra. È vero, sono depresso. E con frequenza crescente guardo al suicidio come a una possibile via d'uscita. Solo che gli psichiatri, e spesso anche gli psicologi, mi sembra ragionino come Renato Pozzetto, confondendo le cause con gli effetti. Che cercando poi di indurre per via meccanica e impersonale, sperando di lavarti via le magagne come fango dal paraurti della Golf.
Intendo dire, io non sto male perché sono depresso, ma sono depresso perché ho una vita di merda. La loro pillolina bianca – che si chiami Citalopram o Laroxyl o Vattelapesca, poco importa – finisce così col somigliare al self godeur. Una tecnologia per la felicità, insomma. 

Ma non sempre la felicità si dimostra docile come un barboncino al circo. E allora le medicine avranno la funzione di tappi per le orecchie: per attenuare il frastuono del presente, e i diavoli al culo che incalzono da tutte le parti. A questo modo la realtà viene accolta per quel che è, addirittura benedetta con il sigillo della necessità. Così va il mondo, fattene una ragione caro...
Ma se un artificio inanimato non potrà mai sostituire lo scambio umano ed erotico con una donna (o se si preferisce con un uomo, non sottilizziamo), e per questo la gag del film ci fa tanto divertire, perché dovrebbe essere diverso con la clinica psichiatrica?
Eppure l'ingenuità non è la stessa. C'è più malizia nella terapia medica. Persino e forse della malafede, già che è molto più semplice adeguare (chimicamente) l'uomo al mondo che non il contrario, come una società giusta dovrebbe sempre cercare di fare. E tocca allora rimpiangere un eterno adolescente del lago Maggiore, che pretende di godere infilandosi in un autolavaggio.
No, il self godeur non può sostituire un rapporto sessuale allo stesso modo che un antidepressivo non può raddrizzare quel legno storto che è la vita. La mia, nella fattispecie. Al limite potrà pompare un po' di serotonina, endorfine, quel che è, con la cocciuta perseveranza di chi continua a darti di gomito dopo aver raccontato una barzelletta sporca, che però non faceva ridere. E comunque molto meglio un film con Pozzetto, allo scopo.
L'infinita tristezza che c'è dietro il lato comico, e forse dietro l'esistenza tutta, aveva saputo restituirla David Maria Turoldo. Il quale invece di affidarsi al self godeur o a un antidepressivo di nuovissima generazione, concluse, in una sua celebre poesia, con amara lucidità: "non ho mani che mi accarezzino il volto".

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