
Qui, sul web, mi appare però più nitido, quasi stilizzato. Come riflesso sull'acqua limpida di un laghetto alpino, in cui vengono ad abbeverarsi all'aba i caprioli. E fosse anche solo per questo – la bellezza della forma, esprit de geomètriè – sarebbe magari il caso di parlarne.
Mi riferisco alla promiscuità, in fondo più apparente che reale, tra utenti anonimi e persone già arrivate, che hanno ottenuto evidenza e consenso al di fuori della grande rete. Quelli che "ce l'hanno fatta", via.
Quest'ultimi
trovo che sul web tendano ad agitarsi molto, forse per consolidare la posizione preminente. Ma non con strategie, per così dire, alte, e piuttosto incassando gli interessi del loro successo, con cui vivere di rendita. E bisogna dire che la cosa gli riesce benissimo, ricordando le persone molto belle, meno motivate della sterminata fanteria dei
brutti a sviluppare delle capacità (quella di pensare oltre la loro bellezza,
ad esempio).
Un'antica
legge della vita, dicevamo, particolarmente evidente su Facebook, e qui verificabile. Avendo tra i contatti delle persone pubbliche – e io ne ho
alcune, il settore in cui hanno acquisito visibilità e prestigio trovo sia poco significativo –, basta valutare la qualità dei loro interventi in
relazione al gradimento in termini di like,
oltre che di commenti il più delle volte celebrativi (ma quanto sei bravo,
quanto sei intelligente etc.).
A parte
rarissimi casi, il rapporto è sbilanciatissimo: post un po' buttati lì
ottengono percentuali bulgare di assenso, che non si spiegherebbero altrimenti
se non con tale ipoteca esterna al mezzo; o se si preferisce e con cipiglio un po' intellettuale, possiamo chiamarla pregiudiziale estetica. Facebook, ben lungi dall'essere un
campo orizzontale e libero di comunicazione, si rivela così un sistema
gerarchico di ratifica dei ruoli e poteri esistenti.
Non dobbiamo
però pensare all'effetto di una qualche pressione anche subdola, un condizionamento subliminale come nei dischi dei Rolling Stones, dove si narra fossero interpolati contagiosi slogan inneggianti alla forze del Male. Macché. È piuttosto il volontario
asservimento a rapporti di forza percepiti come tali; e anche questo ci
dice molto sulla familiarità della nostra specie con il mondo naturale, in cui ogni pecora è alla disperata ricerca del suo pastore…
Oppure potremmo vederlo quale equivalente mediatico del fenomeno del brand, per cui, se ti chiami Giorgio
Armani, i jeans con la tua firma valgono dieci volte tanto quelli del mercatino, a pressoché identiche caratteristiche. O, su una scala più concettuale oltre che
chiaramente ironica, non possiamo non pensare alla celebre merda d'artista griffata da Piero Manzoni.
Una merda
che agli artisti e ai famosi viene così, senza apparente sforzo, senza bisogno
di assumere le fave di fuca a colazione, come invece devono fare i milioni di
utenti senza volto e pubblica notorietà, che come ombre primonovecentesche di
una poesia di Elliot vagolano sui social network, mendicando solo un po' di
attenzione. Potenza dello story telling, si dirà.
La parte
alta della piramide, l'upper class di Facebook, in ogni caso si guarda bene dal restituire alle folle anonime la minima certificazione d'esistenza, che li farebbe felici con
niente – un cazzo di pollice alzato, che ti costa? Ma si sa, i vincoli di
censo prevedono liason e matrimoni solo tra pari. Gli altri grattino pure alla porta, e non è escluso che qualche brioche di tanto in tanto non arrivi.
Sembra
davvero di parlare della vecchia e defunta aristocrazia, con i parrucconi e le guance incipriate. Eppure è proprio ciò su cui si basa la moderna
rinomanza, in cui il prestigio del nome viene fissato da un sistema di
relazioni (una coerenza potremmo chiamarla), che è appunto ancora e sempre
l'ingranaggio che dava impulso alle buffe marionette aristocratiche, solo
ribaltato come un calzino e benedetto da nuovi e vecchi media.
Ciò
significa, per inciso, che anche dall'interno di quel particolare media che è
internet si possano generare effetti simili alla celebrità, per quanto sia molto più faticoso in un
sistema dalle maglie mobili aperte. Chiara Ferragni ne è comunque un esempio: da blogger, a fashion influncer (scusate, ma non riesco a non aggiungerci un e sti cazzi!)
Una volta acquisito consenso sul web, le star che da qui provengono cercheranno comunque un riconoscimento da parte dei media tradizionali (Chiara Ferragni nuovamente docet) e la dinamica di accrescimento tenderà quindi ad alimentarsi spontaneamente, essendo ormai in tutto e per tutto dei fenomeni mediatici tout court. Ma è in fondo l'antico e riciclato fenomeno dei sine nobilitate, per cui il borghese Napoleone, gratta gratta, mira anche lui e come tutti alla Corona Ferrea.
Una volta acquisito consenso sul web, le star che da qui provengono cercheranno comunque un riconoscimento da parte dei media tradizionali (Chiara Ferragni nuovamente docet) e la dinamica di accrescimento tenderà quindi ad alimentarsi spontaneamente, essendo ormai in tutto e per tutto dei fenomeni mediatici tout court. Ma è in fondo l'antico e riciclato fenomeno dei sine nobilitate, per cui il borghese Napoleone, gratta gratta, mira anche lui e come tutti alla Corona Ferrea.
Se dunque
gli interventi congedati sui social network dai nuovi paria, i nostri
interventi insomma, non hanno un blasone esterno o, più raramente, interno a
cui appoggiarsi, finiranno quasi certamente nel limbo dell'irrilevanza, e ciò
indipendentemente da quanto impegno e voce abbiamo messo per farli venire al
mondo. Il nostro sangue non è blu. Punto.
Posto allora
che il novanta per cento di quanto viene scritto qui è merda, la nostra non
puzza e tantomeno macchia le suole delle scarpe o imbratta le pupille. È una merda trasparente e senza odore. Quella
d'artista, invece, profuma.
Nessun commento:
Posta un commento