
I più cialtroni di tutti, e purtroppo anche i più numerosi, sono quelli che
dichiarano di aver intrapreso un percorso spirituale, te lo
comunicano con l'espressione di Fabio Testi quando simula la parvenza di un
pensiero; o quale alternativa altrettanto fabiotestesca, di crescita
personale. Umorismo allo stato puro. Ma qualsiasi altra affermazione al
riguardo suona ugualmente comica e fuorviante.
I percorsi infatti non esistono, se non per via retrospettiva: mi giro e vedo che nell'impronta dei passi che ho lasciato andando a zonzo con un filo d'erba tra le labbra, si può intravedere una figura, un segno, forse un destino. Come in un racconto, bellissimo, di Karen Blixen, dove a emergere dal fango è l'immagine di un airone, disegnato da quel preciso pennello che sono le suole delle scarpe.
Il percorso è insomma la forma postuma del caso, che l'esperienza (altro sinonimo di un percorso genuino) ci fa sospettare di non essere affatto casuale…
Stabilire ex ante che stiamo realizzando questo o quell'altro percorso, è invece negarsi, con l'aggravante dell'intenzionalità, alla meraviglia della scoperta, che è poi ciò che qualifica un percorso in quanto tale. Al limite si può realizzare un progetto, ma come recita un famoso detto la vita è ciò che accade mentre facciamo altro; e il percorso sta ovviamente nella vita, non nell'altro (da noi) che è il progetto.
Ciò che solo si può fare è dunque disporsi al possibile – guardandosi in giro ad esempio, e non solo a quel progetto che confondiamo con il percorso –, per sorprenderci di come gli eventi sappiano ogni volta smentirci, non di rado prendendoci allegramente per il culo. Che se ci fosse un dio, sarebbe probabilmente un troll.
Decidere di fare questo o quell'altro percorso, al contrario, davvero è come circoncidersi, ma con un tale slancio della mano da tagliarsi anche i coglioni.
I percorsi infatti non esistono, se non per via retrospettiva: mi giro e vedo che nell'impronta dei passi che ho lasciato andando a zonzo con un filo d'erba tra le labbra, si può intravedere una figura, un segno, forse un destino. Come in un racconto, bellissimo, di Karen Blixen, dove a emergere dal fango è l'immagine di un airone, disegnato da quel preciso pennello che sono le suole delle scarpe.
Il percorso è insomma la forma postuma del caso, che l'esperienza (altro sinonimo di un percorso genuino) ci fa sospettare di non essere affatto casuale…
Stabilire ex ante che stiamo realizzando questo o quell'altro percorso, è invece negarsi, con l'aggravante dell'intenzionalità, alla meraviglia della scoperta, che è poi ciò che qualifica un percorso in quanto tale. Al limite si può realizzare un progetto, ma come recita un famoso detto la vita è ciò che accade mentre facciamo altro; e il percorso sta ovviamente nella vita, non nell'altro (da noi) che è il progetto.
Ciò che solo si può fare è dunque disporsi al possibile – guardandosi in giro ad esempio, e non solo a quel progetto che confondiamo con il percorso –, per sorprenderci di come gli eventi sappiano ogni volta smentirci, non di rado prendendoci allegramente per il culo. Che se ci fosse un dio, sarebbe probabilmente un troll.
Decidere di fare questo o quell'altro percorso, al contrario, davvero è come circoncidersi, ma con un tale slancio della mano da tagliarsi anche i coglioni.
Ps - Musica consigliata
durante la lettura di questo testo. Giorgio Gaber, C'è solo la strada, "la
strada su cui puoi contare, la strada è l'unica salvezza… "
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