venerdì 11 marzo 2022

Padri e figli


Vedendo Federico Rampini in televisione, ieri sera, mi sono trovato a pensare che non piacerebbe avere un figlio come Federico Rampini: che mette le bretelle rosse, che parla come Gianni Agnelli, che espone con finta casualità i propri libri durante i collegamenti dal suo appartamento newyorkese. Ma soprattutto un figlio tutto compreso dentro un’idea di libertà che a me, piuttosto, appare corrispondere a una visione molto garbata e ripulita del concetto di élite; e se fosse figlio mio, mio figlio non potrebbe mai appartenere ad alcuna élite, come Groucho Marx a un club dove accettassero tra i soci un tipo come lui.

E però, ecco, subito dopo mi sono trovato a pensare che anche Putin probabilmente non vorrebbe un figlio come Federico Rampini – e nemmeno un figlio gay, o che si fa le canne –, e la sua fobia occidentale (sostenuta dal patriarca di Mosca Vladimir Michajlovič Gundjaev, in arte Cirillo I), altro non è che l’arcaico sentire che richiede ai figli di essere identici ai padri. La fedeltà alla tradizione è in fondo questo: negare il caotico succedersi delle generazioni, il loro differire a volte un Leonardo da Vinci le illumina, altre un Hitler le sconcia. Ma più spesso è una grigia staffetta di ragionier Fantozzi e geometra Filini.

Perciò sono favorevole all’invio di armi all’Ucraina: non perché l’Occidente, questo Occidente qui, mi piaccia quanto a Federico Rampini, ma perché ho compreso che i figli hanno tutto il diritto a essere diversi dai padri. Perfino quando mandano a puttane un mondo in cui, tra infinite guerre e atrocità, si è data bellezza. Perfino quando indossano le bretelle rosse e parlano come Gianni Agnelli.

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