Vedo bisticciare ovunque sul rapporto tra la guerra in Ucraina e l'estensione a est della Nato, tirando fuori dal cilindro il sempre bianco coniglio del globalismo che brucherebbe l'erba del vicino (per definizione sempre più verde), americani brutti, cattivi, fino ad arrivare a inquietanti concetti come spazio vitale, che avremmo voluto non sentire più.
Preso atto che dovrei forse evitare i
social network e certi programmi televisivi, pensare all'altezza dei tempi
("tempi maledetti e per niente sicuri, tempi duri", come cantava un giovanissimo Cristiano De Andrè) immagino che significhi sforzarsi a un pensiero complesso,
rifuggendo le scorciatoie.
Ora a me sembra che la scorciatoia più
diffusa sia quella di fare coincidere i gesti con le condizioni ambientali.
Faccio un esempio.
Se vedo una bellissima ragazza sul tram –
condizione ambientale – io potrei anche essere tentato di posarle una mano sul
sedere. Ma non sarebbe il sedere, e cioè la bellezza della ragazza a cui non
sono insensibile, ad avere causato l'ignobile gesto, bensì la mia
responsabilità nell'assecondare uno stimolo esterno, poco importa se indotto o casuale.
Ecco, l'espansione affrettata del blocco atlantico rappresenta una condizione ambientale della guerra in corso, ma non
ne costituisce la causa, semmai una premessa necessaria ma non sufficiente.
Riflettere sull'opportunità di questa
espansione – io ad esempio sono contrario, come lo è Sergio Romano che non può
certo essere additato come nostalgico sovietista – è quanto mai opportuno, perfino
urgente.
Ma ricordandoci che la mano che si è
posata sul sedere dell'Ucraina appartiene a Putin, un gesto di cui dovrà
rendere conto.
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