lunedì 28 marzo 2022

Non gioco più


Oggi mi è venuto in mente il quiz che si faceva da bambini del
se fosse: se fosse un animale, se fosse una città, se fosse una pietanza… Nel mio caso, se fosse una canzone, sarebbe una canzone di Mina. Nemmeno ne ricordo il titolo, solo che, a un certo punto, tira le sillabe lunghe lunghe, mentre dice: “non gioooco piùuu, mee ne vaaadooo…”

Poi ho controllato, è proprio quello il titolo, la prima parte. E ho capito che quel titolo e ciò che segue stavano cercando di dirmi qualcosa. Mi capita spesso con le canzoni, Freud avrebbe dovuto inserirle tra gli atti mancati e i lapsus: mi trovo a canticchiare un motivetto e solo dopo scopro che è nascosta la risposta a un problema, come quel mio amico a cui ho sentito intonare "son contento di morire ma mi dispiace". Sua moglie, più tardi, mi ha rivelato che gli avevano diagnosticato un tumore ai polmoni con metastasi diffuse. Lui però non sapeva ancora nulla, le parole della canzone gli venivano da sole alla bocca.

Non gioco più dunque, me ne vado  ma da dove, se da due anni sono sempre chiuso in casa? Dai social ad esempio, forse dovrei allontanarmi da Facebook, almeno per un po'. Lasciare andare il mio profilo come una bottiglia vuota nell’oceano. Alla deriva.

Tutto ciò che ho pubblicato negli anni rimarrebbe compresso al suo interno, qualche sbirciatina distratta da un polpo di passaggio, gli animali marini più intelligenti dopo i delfini, che di certo avranno di meglio da leggere; comunque non gli darò fuoco come intimò di fare Kafka a Max Brod. O secondo un paragone più commisurato, un gratta e vinci in cui non sono uscite le tre stelle d'oro. Carta straccia. In effetti lo è tutto ciò che scriviamo sul web: dopo un giorno, massimo due ed è buona per la stufa.

È possibile che nel futuro mi venga di nuovo la tentazione – si ritorna sempre sul luogo del misfatto –, ma in forma più intima e meno accalcata; non ci sarà bisogno della selezione del buttafuori all'ingresso, penso a qualcosa di più discreto del privè del Billionaire. Penso a un nuovo profilo social, sì, un ricomincio da tre o quattro contro gli attuali 3171 contatti, con cui perlopiù convivo con reciproca indifferenza, siamo seduti fianco fianco alla maniera di passeggeri su un treno. Ed eccola la nuova canzone che viene a soccorrermi: "ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, e ognuno in fondo perso dentro ai fatti suoi..."

La con-versazione di cui parlava Leopardi, quel procedere fraterni nella stessa direzione (verso), si traduce così nella gara a chi emette con la voce il maggior numero di decibel (versi, da non confondere, o forse sì, con quelli dei poeti, di cui i social sono divenuti la riserva indiana), a chi strilla di più per farsi sentire dal conducente, a cui per definizione è vietato parlare. 

Diversamente, scopriremmo che alla guida del convoglio non c'è nessuno, i vagoni avanzano per inerzia come in quel film diretto da Končalovskij e ambientato in Alaska, in cui tra distese di neve e fusti d'albero ischeletriti dal gelo, un altro treno correva verso il nulla. Ma ciò non dissuade i passeggeri dal vociare, al contrario, e non c'è urlo più fragoroso di una scollatura dischiusa con noncurante casualità, o l'attacco, sarcastico, al nemico di turno: "Gliele ho cantante sul muso, dai che facciamo branco e gliele cantiamo ancora più forte!"

O chissà che per pigrizia non ripeschi la vecchia bottiglia, chiedo preventivamente scusa al polpo per avere interrotto la sua ispezione ai reperti di una specie tanto bizzarra, che invece di nuotare scrive la parola nuoto. Ma sarà maggiore la parsimonia nel rabboccarla, minore la dissipazione di parole e tempo, soprattutto tempo che come recita l'ennesimo dono dell'inconscio canoro: "c'è tutto un mondo intorno che gira ogni giorno", e questo diorama semplificato me ne ha distolto troppo spesso lo sguardo. Però con calma, non c’è fretta. Lasciatemi godere il naufragio.

Alle poche persone con cui ho interagito e alle pochissime a cui ho voluto bene – perché è accaduto anche questo, nell'infinita combinazione di alfabeto e immagini: di gattini, tramonti, corpi, copertine di libri, volti, ma più che altro volti immaginati, può succedere –, a tutti voi auguro buona continuazione.

Con qualcuno ho fiducia che ci rincontreremo. Meglio se al tavolino di un caffè, in una giornata di primavera, con due bicchieri quasi fosforescenti di pastis. Sembrerà di stare in una pellicola di Rohmer, in cui le ragazze indossano abiti di cotone a fiori e per fermare i lunghi capelli arruffati infilano una matita, una di quelle mezzo rosso e mezzo blu. L’hanno distolta dal disegno che stavano schizzando sul tovagliolo di carta.

Quanto a me, sento il bisogno di fare lo stesso: interrompere quel disegno caricaturale (la caricatura di me stesso, beninteso) a cui mi sono dedicato per troppo tempo, ma scarsa consapevolezza dei limiti; del mezzo, prima ancora che i miei. Quindi guardare in faccia la persona che mi si presenterà in camicia bianca e farfallino nero, un vassoio in mano:

“Buongiorno, sono il cameriere.”

A quel punto potrò ripetere la battuta che sogno di pronunciare da anni, poco importa se, in un bistrot affacciato a un boulevard su cui sfrecciano Renault Dauphine e Citroen DS, l’ha già detta Jean-Paul Sartre: “No, Lei non è il cameriere: Lei fa il cameriere. Non si confonda a questo proposito.”

E così nessuno di noi è la miniatura incazzosa o saccente o ammiccante o moralista o gigiona o corporativa (i cantanti d'opera se la fanno con i cantanti d'opera, gli scrittori con gli scrittori, i radiologi con i radiologi e i nani del circo con i nani del circo) che risulta scorrendo le bacheche di un social netwok. Non confondiamoci a questo proposito.

Eppure, come il cameriere di Sartre, è quanto ho finito anch’io col credere: l’abitudine al fare, di continuo, lo stesso gesto, lo confonde infine con l’essere, in un'ostensione laica (prendete e mangiatene tutti) rivolta a chi ci aspettiamo aspettare solo questo da noi:

“Gradisce? Ne verso un po’ anche alla signora? Non si preoccupi, non è alcolico. È solo un frullato di opinioni personali su tutto."

"Ma tutto TUTTO?"

"Si, certo, ne dubitava? Ma con una spruzzata di imperdibili cazzi miei."

Nessun commento:

Posta un commento