Sono d’accordo con te, tranne che sul soggetto del verbo augurare: "sempre ci si è augurati la pace", ovvero ci in luogo di noi, tutti noi, uniti nel sempiterno augurio di pace. Quindi pace subito, pace a qualsiasi costo. Se prendiamo le parole sul serio, le cose però non stanno così.
La Russia di Putin, la Russia che in buona parte ancora sta con Putin, ad esempio non si augura la pace, ma l'annessione di significative porzioni del territorio ucraino, se non dell'Ucraina tutta da far rientrare sotto la propria sfera d'influenza, magari con una foglia di fico che ne copra l'oscena brama, come Lukašenko in Bielorussia.
Ma anche gli ucraini non si augurano pace e piuttosto libertà, indipendenza, orizzonte prospettico che si slarga sul destino proprio e quello dei propri figli, come nel finale di una pellicola hollywoodiana con dolly a salire e titoli di coda che scorrono sullo sfondo del cielo. Poco importa se quel film si nutra anche di retorica e nazionalismo: è il loro film. Sono le loro condizioni, e non altre, a cui gli ucraini si augurano la
pace.
Siamo dunque noi, quel noi che non è indifferenziato ma coincide con la
ristretta porzione di mondo comodamente seduta di fronte al televisore, ad
augurar-ci la pace: chi per far calare il prezzo dei carburanti, chi invece,
spirito assai più nobile ed empatico, per poter riprendere a seguire una serie
su Netflix senza essere turbato dal pensiero di quei giovani corpi
dilaniati (ma anche i vecchi muoiono, non solo di Covid ma sotto le bombe
russe).
Bisogna dunque essere molto cauti nell’uso dei pronomi. C’è noi e noi. E se
sbagliamo noi includendo anche chi la guerra la fa per davvero, ma soprattutto
la subisce, rischiamo di ricalcare il più sconcio degli adagi: "fare i
fro... va be', gli omosessuali con il sedere degli altri."
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