In questi
giorni, chi più, chi meno, siamo incollati a televisori e monitor di grandezza
variabile, a osservare le immagini che provengono dall'Ucraina.
Non potendo
e neppure volendo combattere, siamo convertiti in spettatori, dopo che lo siamo
stati per due anni dei bollettini quotidiani sul Covid, con corollario di
interminabili zuffe pro e contro i vaccini, Green Pass, "dittatura
sanitaria".
Eppure
questa ricostruzione a ben vedere fa difetto. Se il voyeurismo si è
ora fatto incessante, già alla fine degli anni sessanta Guy Debord parlava di società dello spettacolo, e ancor prima
i filosofi illuministi suggerivano come il terremoto di Lisbona (1755) avesse
mutato la percezione del mondo. La grande capitale lusitana non era infatti
visibile nel suo concreto disgregarsi, ma attraverso le stampe che ritraevano
l'evento e il riverbero geologico del sisma avvertito a migliaia di chilometri
di distanza, qualcosa, un’eco, la differita illusione di presenza, sembrava
offrirsi nella rappresentazione. O
meglio: malia della rappresentazione, che risucchia lo sguardo nel pozzo nero in cui si è incastrato Alfredino.
È forse in
quell'esatto momento che siamo diventati tutti spettatori.
Ma proprio
perché il processo è ora divenuto estremo – pensiamo ai social network:
guardiamo per essere guardati – mi accorgo della torsione cognitiva a cui sono
sottoposto, che mi fa provare emozioni solo in quella forma indiretta
e sempre più flebile chiamata pietà (si parla e si paga, ma solo pochi
spiccioli per qualche sottoscrizione umanitaria, incassando il corrispettivo in
like), come goccioline di pipì che stentano a precipitare nel water, spremute nel
pieno della notte da un anziano che soffre di ipertrofia prostatica.
Una
prostatite sentimentale, nel mio caso, che mi rende moderno tra i moderni, come
scriveva Pasolini di sé nella più celebre poesia. Ma se lui girava per la Tuscolana
come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone, io mi accorgo che non
solo vorrei amare, amare per davvero e cioè nel vero, per essere amato, ma
anche uccidere per non essere ucciso. Come fanno a Kiev in questo fatale
momento: vivono, nel significato finalmente pieno e privo di mediazioni spettacolari del termine, mentre muoiono.
Ma ora si è
fatto tardi e devo spegnere il televisore e ingollare una pasticchetta rosa
per dormire, e un’altra verde pisello per cacare domattina.
Nessun commento:
Posta un commento