sabato 5 marzo 2022

La vita in-diretta


In questi giorni, chi più, chi meno, siamo incollati a televisori e monitor di grandezza variabile, a osservare le immagini che provengono dall'Ucraina.

Non potendo e neppure volendo combattere, siamo convertiti in spettatori, dopo che lo siamo stati per due anni dei bollettini quotidiani sul Covid, con corollario di interminabili zuffe pro e contro i vaccini, Green Pass, "dittatura sanitaria".

Eppure questa ricostruzione a ben vedere fa difetto. Se il voyeurismo si è ora fatto incessante, già alla fine degli anni sessanta Guy Debord parlava di società dello spettacolo, e ancor prima i filosofi illuministi suggerivano come il terremoto di Lisbona (1755) avesse mutato la percezione del mondo. La grande capitale lusitana non era infatti visibile nel suo concreto disgregarsi, ma attraverso le stampe che ritraevano l'evento e il riverbero geologico del sisma avvertito a migliaia di chilometri di distanza, qualcosa, un’eco, la differita illusione di presenza, sembrava offrirsi nella rappresentazione. O meglio: malia della rappresentazione, che risucchia lo sguardo nel pozzo nero in cui si è incastrato Alfredino.

È forse in quell'esatto momento che siamo diventati tutti spettatori.

Ma proprio perché il processo è ora divenuto estremo – pensiamo ai social network: guardiamo per essere guardati – mi accorgo della torsione cognitiva a cui sono sottoposto, che mi fa provare emozioni solo in quella forma indiretta e sempre più flebile chiamata pietà (si parla e si paga, ma solo pochi spiccioli per qualche sottoscrizione umanitaria, incassando il corrispettivo in like), come goccioline di pipì che stentano a precipitare nel water, spremute nel pieno della notte da un anziano che soffre di ipertrofia prostatica.

Una prostatite sentimentale, nel mio caso, che mi rende moderno tra i moderni, come scriveva Pasolini di sé nella più celebre poesia. Ma se lui girava per la Tuscolana come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone, io mi accorgo che non solo vorrei amare, amare per davvero e cioè nel vero, per essere amato, ma anche uccidere per non essere ucciso. Come fanno a Kiev in questo fatale momento: vivono, nel significato finalmente pieno e privo di mediazioni spettacolari del termine, mentre muoiono.

Ma ora si è fatto tardi e devo spegnere il televisore e ingollare una pasticchetta rosa per dormire, e un’altra verde pisello per cacare domattina.


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