domenica 25 novembre 2018

Istinti basici, o sul perché con la cultura non si mangia ma con il sesso ci si ingozza (di parole)

Trovo tristi e patetiche le persone che lamentano lo scarso appeal della cultura sui social network, specie quella che vorrebbero diffondere con le loro parole. Due giorni fa ho pubblicato sul mio blog, quindi come d'abitudine anche su Facebook, un intervento in cui parlavo dei rapporti tra religione e filosofia, intuendo una curiosa proporzione tra le due. 
Era un buon testo "culturale", lo dico senza falsa modestia. Una delle cose migliori che scrivevo da mesi. Nonostante ciò ho ricevuto il minimo sindacale di like, insuccesso assoluto.
Ma va bene così, fa parte del gioco e non me ne lamento. Con le debite proporzioni, credete forse che Socrate 
 oh, ho detto Socrate, mica Fusaro! , Socrate quando ciabattava per Atene incalzando i passanti di domande, avesse più riscontro di un qualsiasi atleta al ritorno dai giochi di Olimpia? 
No di certo. E anche Alcibiade, con la sua bellezza scultorea e le spacconate alla Fabrizio Corona, come la decapitazione delle erme, calamitava molti più sguardi ammirati di quelli che guadagnava l'arte maieutica del grande filosofo. Ed erano i like del tempo, a premiare, anche allora, qualità diverse dalla cultura. Che se ne facciano dunque una ragione, quelli che danno ai loro figli i nomi Einaudi ed Adelphi. 
L'elemento di differenza storica mi sembra dunque un altro. Il sesso. L'invadenza del sesso. Parlato, rappresentato, adombrato con ammiccamenti e manfrine. Raramente agito, però. Specie quando immesso sulla scena pubblica, di cui guandagna immediatamente il centro e smette così di essere osceno. Viene addirittura premiato dagli applausi scroscianti del pubblico.
 Un esempio? 
Una donna, perché alla fine questi giochetti di seduzione prevalgono ancora tra le donne, per quando si stiano estendendo anche ai maschi, una giovane donna che su Facebook esorta: Chiedetemi cosa volete sapere, dai, anche particolari intimi… Risponderò a tutti in privato, non siate timidi! 
Ecco, questo nell'Atene di Socrate e Pericle non sarebbe stato concepibile. Il sesso si faceva, e anche di frequente e anche con uomini, donne, spose, amanti, etere, pornai, meteci, giovinetti, era tutto un continuo accoppiarsi. Ma dopo aver fatto quel che da sempre si fa, si tornava a parlare d'altro.
Non sempre di filosofia, d'accordo, e magari di quanto fosse bravo quel lottatore di Corinto, o esilarante una commedia di Aristofane, incerta e appassionante una corsa di bighe. Cose così, che adesso starebbero volentieri su La Gazzetta dello Sport. 
Ma inciampare nelle parole appena scritte 
– le ho inventate, d'accordo, ma tra i miei contatti sono numerosissimi i post sulla falsariga  mi fa provare disagio nel viaggiare sullo stesso mezzo, appartenere a questo tempo.
Un tempo morboso, pansessuale, senza eroi che incrociano le spade alle prime luci dell'alba, il riverbero del sole sulle corazze di bronzo istoriato, nitrire di muli e cavalli sullo sfondo. Intanto, il fantasma di Ares sprona rabbioso all'azione, quello di Dioniso danza nelle pozze già ricolme di sangue. 
Macché. Ora solo pallide lusinghe erotiche, che rimangono sospese nell'aria alla maniera dei fumetti di Qui Quo Qua, dove non c'è più un soggetto distinto ma un confuso brusio collettivo. E sono così parole intercambiabili, azzeramento della fantasia, pura ricorsività nel seguente sotto testo: 
Ti piaccio, eh... Mi vorresti, eh... Ti piaccio, eh... Mi vo...
Nel frattempo, una selva di segni lievita in numero e consenso, si alza glorioso verso l'alto il pollicione blu, punta il cielo da cui sono scomparse le divinità dei greci. Come un esercito di nani in perenne stato d'erezione.

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