venerdì 19 maggio 2017

Virilità surrogate, o sull'equazione matematica della vita




Oggi sono stato in ospedale a trovare un anziano cugino di mia madre operato alla prostata. Da quel che ho intuito, anche gli altri uomini che incrociavo all'interno del reparto, quasi tutti, almeno, avevano subito la stessa operazione. Lo ricavavi dal fatto che, come il cugino Bruno, indossavano una vestaglietta bianca a mezza coscia, deambulando un po' smarriti e incerti sulle gambe ai margini del lungo corridoio verde acqua; quando il centro viene occupato di norma dalla camminata franca (e non di rado arrogante) dei medici, e da quella svelta e quasi festosa degli infermieri. Con una mano i pazienti salutavano i parenti in visita o reggevano un quotidiano ancora intonso, mentre con l'altra sospingevano una lunga asta di metallo montata su una base a rotelle, a cui erano poggiati i contenitori per il drenaggio della ferita, oltre a eventuali flebo fissate alla sommità, apparecchietti elettronici di cui mi è ignota la funzione, in un groviglio di fili e tubicini trasparenti.
Confesso: osservando quel transito mesto ho provato un impulso paradossale e incontenibile al riso, non al sorriso, mi veniva proprio da sganasciarmi dalle risate. Forse – ma questo lo penso solamente adesso, a posteriori e con un pizzico di vergogna – è stato per via dell'evidente simbolismo fallico dell'asta, quasi fosse un risvolto grottesco (una nemesi) alla mitologia della virilità che assilla il genere a cui appartengo. Un mito di cui si mostrava ora l'inconsistenza o meglio la natura puramente epica, narrativa, come chi sbirciasse dietro ai fondali di cartapesta dei film di Sergio Leone, scoprendo quel niente leggendario con cui si gonfiano i pneumatici delle storie, per farle scivolare fino a noi.
Eppure, immediatamente dopo se non contemporaneamente, da comica la scena è virata ai miei occhi in tragica, intravedendo un destino comune; quegli uomini erano davvero fatti a mia immagine e somiglianza, erano me in lieve dilazione temporale. Un destino non solo di sofferenza ma di umiliante figurazione, in un'imitatio christi non risorgente e glorioso, piuttosto la corona di spine e il ciuchino su cui viene fatto sfilare Gesù per le vie di Gerusalemme – della serie: oltre il danno la beffa…
Così, mentre un po' ridacchiavo sotto i baffi e un po' mi commuovevo –  dovevo ricordare a chi mi vedeva il volto tondo e ceruleo di Pierrot –, mi è venuto il dubbio che la vita fosse una specie di equazione matematica, che qui trova il suo grado minimo di semplificazione. Naturalmente puoi continuare a cercarla tra le parentesi graffe di romanzi sperimentali e postmoderni, diluita nelle geometrie affilate dei dipinti futuristi, spersa fra le olivette fradice dei vernissage o imboscata dentro al ventre filosofico di parole incomprensibili e crucche (però tanto belle da pronunciare…), e non è escluso che si arrivi allo stesso risultato. Quello che mi si parava finalmente chiaro nel reparto di urologia dell'ospedale civile di Sondrio: uno zero tondo tondo, ma con una piccola lacrima al centro.


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