mercoledì 24 maggio 2017

Il megafono e la cazzuola, o su dire, fare e twittare



Un tempo, e forse ancora adesso, si diceva che il compito dell’istruzione è sviluppare un pensiero critico sul mondo. Prima che l’acquisizione di nozioni particolari, specifiche, professionali, sarebbe cioè importante l’attitudine a una visione personale e non omologata sulle cose, che si giovi dell’esperienza oltre che dei fallimenti altrui.
Così a naso, mi verrebbe da sottoscrivere questa affermazione, la trovo plausibile e non priva di una sua sintetica saggezza. Ma se apro Facebook, o qualsiasi altra pagina web, mi sembra che abbiamo preso fin troppo alla lettera l’invito. Ognuno riversa su internet il suo pensiero, lo sbrodola, o concentra, a seconda dell’attitudine e del gusto, comunque convinto che gli altri possano (o meglio debbano) trarne beneficio.
Lo dice anche un verso della canzone che ha vinto il festival di Sanremo: “tutti tuttologi sul web…” Tra cui naturalmente mi ci metto anch’io, che sto facendo lo stesso: scrivo, pontifico, esprimo una visione che mi sembra originale su ciò che avviene, manifestando di aver fatto propria l’istruzione che i miei genitori mi hanno impartito.
Ma mi viene però ora il dubbio che a quell’imperativo pedagogico mancasse una postilla... In che modo una visione può tradursi in condi-visione, ossia in racconto che intercetta altri racconti, facendosi quindi progetto comune, epica popolare?
Ciò che risulta navigando sul web, più che l’immagine di bambini ormai emancipati dalla loro buona educazione (cavolo, pensiamo tutti con la nostra testa che geni!), è infatti lo specchio infranto di singolarità che non fanno più sistema.
Quel movimento filosofico americano chiamato pragmatismo, alla metà del diciannovesimo secolo ha puntato tutto su tale aspetto: l’utilità collettiva della verità, che senza un elemento comune (comune fin nella prassi agli altri, non solamente nel pensiero) non può neppure essere chiamata Verità.
Dal punto di vista epistemologico l’affermazione è un po’ enfatica, certamente arrischiata. Molti sbagli non fanno infatti una giustizia, come molte schiappe non restituiscono l’estro calcistico di Maradona. E però non mi sembra del tutto eccentrico pensare all’utilità pubblica, ma anche privata, di quel che diciamo, scriviamo, proclamiamo dentro ogni piccolo o grande megafono, trasformandolo in cazzuola.
Non perché così si diventi più intelligenti – ormai abbiamo dato diffusa prova delle nostre capacità –, ma perché come ha mostrato la stessa filosofia americana, la parola è anche un fare, un atto linguistico che come ancor prima aveva intuito Marx, potrebbe iniziare a cambiare il mondo, non solamente a descriverlo e criticarlo, come fatto fino a ora.
Fino a ora, già. Cosa abbiamo fatto fino a ora? A me pare che con tutte le nostre parole indignate, i tweet arguti, post autoriferiti, fino a ora non solo non abbiamo cambiato un cazzo, ma ci stiamo convincendo della nostra impossibilità a cambiare qualcosa, anche piccola…

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