lunedì 22 maggio 2017

Buoni e cattivi, o sulla manifestazione di sabato a favore dell’accoglienza



Enrico Mentana ha appena postato su Facebook una riflessione che è rimbalzata un po’ ovunque sul web. Il tema era la manifestazione milanese di sabato a sostegno dell’idea di accoglienza. Usa proprio questi termini Mentana: idea e accoglienza, associandoli.
Un’impostazione linguistica del problema che io trovo del tutto corretta. Prima che una prassi accogliere è infatti un’idea, una condizione astratta che sta dentro il pensiero delle persone. C’è chi in quello spazio astratto si riconosce, e chi invece no.
Ma, prosegue Mentana, ciò che più colpisce nella circostanza è il livore con cui gli anti-idealisti (chiamiamoli provvisoriamente così) hanno risposto all’iniziativa, riversando un po’ ovunque parole astiose e incattivite. Una reazione che ricorda il paziente che sobbalza quando il dentista sfiora il premolare scoperto, o la suscettibilità di chi si offende al commento sulle grazie disinvoltamente offerte dalla sorella, almeno secondo gli amici come lui curvi sopra al tavolo da bigliardo.
Ma perché offendersi, in questo caso?
Al di là delle parole di Mentana, che nella sostanza condivido e per quanto non si allontanino da un solido buon senso, vorrei allora provare a sviluppare tale aspetto laterale del problema. Il fastidio che procura la virtù degli altri, specie quando esibita nella forma pubblica di un richiamo.
Per farlo devo però ribaltare la prospettiva abituale della parte in cui mi riconosco, che, come tutte le parti (altrimenti non esisterebbe l'aggettivo parziale...), vede la giustizia come un bene proprio e il vizio appannaggio degli altri, sempre colpa degli altri che sono ovviamente i cattivi, i brutti e noi invece Clint Eastwood. Un po’ come Giorgio Gaber quando affermava sornione: “Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me.
Allo stesso modo, dai, diciamocelo: quanto ci fanno incazzare quelli che sono tanto più buoni di noi; e ce lo ricordano pure, gli stronzetti...
Certo, si potrebbe obiettare che quel che più irrita è l’ipocrisia delle anime belle, i sepolcri imbiancati che con una mano ti offrono un tozzo di pane e con l’altra ti sfilano di tasca la torta. E anche questo avviene, in particolare nella sinistra italiana imborghesita e ormai vacante di un orizzonte proprio; di un "senso", se non altro, in mancanza di un progetto e una strategia (non scomoderò l’abusato e logoro concetto di radical chic, ma il significato è un po’ quello lì, che lo scrittore e marchese Fulvio Abbate ha felicemente ribattezzato in sinistra alla zuppa di farro).
Ma non solo, c’è proprio un rovello psicologico che si attiva quando vediamo qualcuno più buono di noi, più gentile, pronto, sollecito verso gli altri. E' come se la virtù fosse implicitamente ricattatoria, e ciò al di là delle intenzioni di chi la pratica senza magari ostentarla.
Credo non si vada troppo lontano dal vero richiamando le topiche freudiane, con il Super-Io quale struttura inconscia in cui si organizzano le istanze morali del proprio tempo, che da lì orchestrano il loro discorso senza neppure consapevolezza in chi le vive (che inconscio sarebbe, sennò?).
A tale nucleo psichico si oppone però il principio anarchico del piacere, a cui lo stesso Freud ha dato il nome di Es. Le circostanze attuali riaccendono così il conflitto latente tra il diavoletto e l’angelo, che da due piccole nubi si rintuzzano come in una scena con al centro Homer Simpson, il quale non sa risolversi su a chi dare ascolto.
Per questo penso che le reazioni rabbiose alla manifestazione di sabato (e non finiremo mai di stigmatizzarle, come fa lucidamente Mentana), non vadano ascritte solo a leghisti, parafascisti, generici fetentoni. Ma, anche, se non soprattutto a semplici cittadini disposti dentro la loro pigra consuetudine di vita, rispondendo con fastidio a un vocativo morale a cui non si sentono pronti, ma che in qualche modo avvertono come proprio.
E’ insomma come se da soli si dicessero zitto, statti zitto, non vedi che sul tavolo c’ho ancora lo spritz da finire, e quella bionda all’angolo mi ha appena fatto l’occhiolino! Mentre il fantasma dei manifestanti a cui replicano piccati, senza che per altro una domanda da loro gli sia stata fatta, il film è tutto nella loro testa, li strattona e incita: “Andiamo, dai, su, muoviti, diventa buono e solidale come siamo noi!”
Io, confesso, a volte mi sento nelle medesime condizioni dell'uomo comune e distratto, e davvero mi piacerebbe che il mondo si fermasse a quella vecchia cartolina di provincia, in cui tutto rimane al proprio posto: le bionde, lo spritz, il tavolo da bigliardo e anche gli emigranti con i loro stramaledetti gommoni; fermo come la caligine spessa delle Marlboro di quando si fumava ancora dentro ai bar, tagliata dalla luce verde della lampada centrale.
Ma, altre volte, ho il sospetto che il mondo sia un poco più grande di quella piccola fotografia, e dunque anch’io possa diventare più grande di me: trascendendo il mio piacere, tracimando il mio spritz e quindi accogliendo non solo il mio simile, troppo facile, ma anche ciò che simile non è.
E dunque bravi ai manifestanti di sabato, per quanto la loro convinta ed esibita vastità di cuore, a voler essere ancora più sospettosi, insinui in me un dubbio ulteriore, ma sotto forma di peccato del tutto veniale. Non è infatti piacere, Es freudiano, anche il piacersi, sedendosi in prima fila alla messa in scena della propria bella virtù? Tanto più che in questo caso non c'è nemmeno il biglietto da pagare…


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