domenica 28 maggio 2017

Francesco Totti, o sulla riemergenza del tragico



Francesco Totti, dunque. Pare non si possa parlare d’altro. E’ il tema del giorno. A me Totti non sta antipatico, non sta simpatico, non sta niente. Ma ne riconosco le immense qualità sportive, che gli hanno regalato una notorietà del tutto meritata; e con questa i soldi, le donne, il successo mediatico.
Ma pure riconosco la sua proverbiale modestia intellettuale, a cui egli stesso si è prestato con grande autoironia, che ce lo rende gradito malgrado l'espressione un po' imbronciata; ma se l’autoironia è una componente dell’intelligenza, scemo del tutto proprio non deve essere.
Insomma, dai, diciamolo: Totti è sempre stato un po' uno “scemo a metà”, per parafrasare bonariamente il titolo di un bell'album di Pino Daniele; oppure un uomo dall’intelligenza dimidiata, se si preferisce nuovamente la dizione eufemistica; o meglio ancora un bambino, un pupone, che una compiuta articolazione di pensiero non ha ancora avuto modo di sviluppare. Ma è proprio questo che in fondo di lui ci piace: l’idea che la perfezione della forma (certe verticalizzazioni smarcanti, i colpi fantasiosi e i goal da tutte le posizioni) possa darsi al netto di una sostanza mentale.
Se però facciamo un po’ di replay con la moviola della storia, ci accorgiamo che questa non è una novità. Già in epoca antica le narrazioni esemplari erano composte da uomini, eroi, creature polimorfe che sono come contenitori vuoti, mossi dal pungolo di divinità altrettanto vuote e capricciose.
Nel mondo omerico, insomma, non esiste sostanza umana o divina, che si presenterà solo a partire da Socrate. Nel mondo omerico c’è solo forma ed emozione. Così quando riesci a comporle, a tenerle assieme anche solo per un istante, ottieni la bellezza, che si presenta con l'aspetto cangiante di un'epifania.
Oltre al suo indiscutibile talento, che ho già ricordato e a cui ancora una volta mi inchino, io credo dunque che il successo di Totti discenda dalla sua natura mitica, che nella specie di un'epifania moderna fa alzare il pubblico dalle gradinate, ed esclamare: Ooooh!
Ma, oltre che mitica, la sua forza di suggestione è anche epica, in quanto corale, collettiva. Ed è entro questo perimetro collettivo che la pienezza del vuoto si manifesta svuotando la mente dal ragionamento, per consegnare chi l'osserva alla festa dell’emozione, che fa da correlato all’epicità dell’intero gioco del calcio.
Al loro meglio, e cioè in campo, i calciatori sono infatti dei simulacri mossi da forze spirituali bizzose, che ne determinano i successi o le rovine. Mentre i calciatori gravati dalla zavorra dell'intelligenza – pensiamo solamente a uno come Rivera, ma ce ne sarebbero molti altri –, per quanto grandi vengono più velocemente dimenticati, senza raggiungere mai e per intero il cuore dei tifosi.
Risponde allo stesso schema mitologico anche la penosa uscita di scena di Totti. Abbiamo infatti un dover essere (il campione di sempre, che per questo non vuole smettere di giocare) che si oppone a un non poter essere più (allo stesso livello atletico di prima).
Ciò che ne risulta è l’aporia tragica in cui ogni soluzione viene impedita, se non nella morte dell’eroe, simbolica o reale che sia. Concorre a questa funzione il battage polemico che viene fatto da più parti, che fa di Totti la vittima sacrificale di Spalletti, qui visto come un padre malvagio che divora i propri figli.
Eppure Totti dovrebbe ringraziare il suo allenatore saturnino, già che in questo modo può scomparire dall’orizzonte sentimentale non come vecchietto un po' acciaccato, ma nella forma dell'eroe tragico: infilzato da una freccia nel tallone che aveva lanciato tanti assist…





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