domenica 11 agosto 2024

Michela Murgia teologa

La frase "l’omosessualità è contro natura. Ma anche camminare sull’acqua, morire e risorgere, moltiplicare il cibo e rimanere incinta da vergine" non appartiene a Woody Allen, il passaparola sul web ha però finito col ratificarne l'attribuzione apocrifa. In realtà è del fumettista comasco Davide La Rosa, che la scrisse in una striscia del 2012.

Ci ripensavo – alla frase, non all'attribuzione – ragionando intorno alle posizioni espresse da Michela Murgia attorno a tematiche religiose, le ritroviamo principalmente in due libri ("Ave Mary e "God save the queer", pubblicati entrambi da Einaudi nel 2011 e nel 2022) nei quali la moderna nozione di queer diviene peculiare grimardello per penetrare il segreto di un Verbo che si dichiara carne, e viceversa.

Confesso di conoscere poco il pensiero di Michela Murgia, un certo pregiudizio legato alla sua immagine pubblica, per la mia indole troppo tranciante nel separare il grano dal loglio (e per quanto anche io propenda per ciò che lei indica come grano), me ne ha tenuto distante. Però ciò che ho colto dalla sua indagine su questi temi, alternando indugiate sottigliezze a rapinosi slanci, l'ho sempre trovato stimolante, mai banale e con una stringente coerenza interna.

Certo, era teologia, per quanto eccentrica, non filosofia, e dalle Scritture partiva per lì ritornare come un sardo alla sua isola, diffidente per le strane usanze di noi continentali. È infatti proprio l'eccentricità – letteralmente: sporgersi fuori dalla centratura dell'ovvio, del "si dice" che è un sottoprodotto della storia, sedimentata in cultura sociale – ad apparirmi l'atteggiamento più appropriato per accostarsi al sacro. Lei lo fa con la consueta assertività, ma in fondo non mi pare che dica delle cose così distanti dall'ironia sorniona di Davide La Rosa: se un Dio, o perché no una Dea, esiste deve essere sorprendente, tutto al contrario del Deus sive Natura di Spinoza.

La buona novella diventa così una sorta di processo di decostruzione di ciò che viene percepito come naturale, o ancora più precisamente di super-naturalizzazione, di estensione dei confini del possibile, che oggi facciamo coincidere con leggi immutabili ed eterne. Perciò nel Regno dei cieli si entra solo quando un po' strambi, o se si preferisce queer.

Per concepire ci vuole un uomo e una donna con cromosomi xy e xx, sigle a cui la polemica pugilistica di questi giorni ci hanno abituato? Ok, qui magari, e al momento. Ma varcata la "porta delle pecore" – un'immagine evangelica a lei molto cara – non è detto che il vincolo valga ancora.

Una porta più adatta a freaks e a donne cannone, e cioè a gente per cui camminare sull'acqua, morire e risorgere, moltiplicare il cibo e restare in cinta da vergini appaiono possibilità: se non proprio concrete, concretizzabili con l'immaginazione. Possiamo così guardare al termine queer come a un'immaginazione più scatenata, un'immaginazione che crea mondi, se è vero che siamo fatti a immagine e somiglianza del Padre, o di nuovo della Madre. E dunque perché no?

Nei libri della Murgia c'è naturalmente molto altro, che ho trascurato in parte per ignoranza e in parte per distanza dal mio pensiero, che ho qui liberamente integrato al suo – ad esempio il femminismo mariano, che mi sfugge o forse non convince del tutto. Ma nell'insieme trovo che la sua proposta teologica vada meditata con curiosa attenzione. Magari mescolandola con la tonalità ironica e scanzonata di Davide La Rosa. 

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