mercoledì 23 febbraio 2011

Chiara Schützen c’est moi, o su come facebook somigli sempre più alla casa di una bambola


Il suo nome è Chiara Schützen. Lo scrivo così, per intero e per davvero, senza falsi pudori di privatezza. Anche perché sono certo che si tratta di uno pseudonimo. Quando l'ho conosciuta portava infatti un diverso cognome ed era fidanzata con un mio amico. Lui parlava di continuo e lei non parlava mai. Una coppia bilanciata, per così dire. Poi si sono lasciati e ho visto sempre più raramente lui, che nel frattempo aveva cambiato casa, macchina, lavoro, vestiti. Lei, non l'ho più rivista.

Ci sono certe coppie che davvero somigliano al mito platonico dell’Unico originario. Così quando si spaccano in due, si lasciano o vengono separate dai casi della vita, finiscono con lo sperdersi nel mondo - ognuno per il suo mondo - e come in quei film dove gli indiani cancellando le tracce del passaggio dei cavalli con una frasca, ti rimane di loro solo l'immagine fissa di un tramonto in cinemascope. Salvo ricomparire, all'improvviso, quando formano una nuova e diversa unità.

Così dopo quasi dieci anni che non ho più notizie di Chiara Schützen - che allora, per me, si chiamava semplicemente Chiara, essendo il vero cognome sostituto nella mia mente da un attributo: "fidanzata di Alberto" - lei si rifà viva con la stessa inattesa urgenza di una freccia Apache. Chiedendomi, in un sibilo, l'amicizia su Facebook!

Io subito accetto, per carità, l'amicizia su Facebook non la si nega a nessuno, come la ragione agli scemi. Però in un primo tempo non realizzo che si tratta di lei, la bella e muta compagna del mio amico che ha cambiato casa, macchina, lavoro, camicia e credo anche fidanzata, andando a costituire un nuovo Unico platonico in qualche altro mondo parallelo al mio. Ma quando finalmente collego i puntini e la riconosco, mi fa molto piacere ritrovarla su Facebook, ora trasformata e finalmente individuata in un nome e un cognome singolari:

quelli di Chiara Schützen, appunto.

Felice di risentirla e ancora più felice nell'accorgermi che, nel frattempo, ha guadagnato un'autonomia di parola senza l'invadenza verbale del suo uomo. E la invito dunque a raccontarmi, a raccontarsi. Magari in un luogo fisico e in un indefinito futuro prossimo, in cui riempire di parole e immagini questi dieci anni di silenzio. Davanti a un tè, ad esempio.

Ma vedo che lei è un poco turbata dalla mia proposta, riottosa a trasferirci subito al tavolo della vita. Preferendo rimanere rannicchiata ancora per un po’ dietro alla rassicurante lavagna di Facebook. Immagino che abbia inteso perfettamente che il mio non voleva essere un invito sottilmente seduttivo, anche perché tra me è lei non è mai esistito alcun sottotesto del genere. Ma ci sono persone per cui Facebook è una cosa stramaledettamente seria, e la vita è invece la risata senza denti di un folle.

Non dico che queste persone abbiano torto, ma nemmeno che Chiara Schützen abbia ragione. Semplicemente mi limito a constatare che è così. Al punto che le risate senza denti a me contagiano come gli sbadigli: inizio a sorridere pure io, non mi tengo più, scoppio! Sì, io ci sto decisamente bene di fronte al panorama di una risata senza denti. Meno dietro alle lavagne.

Non ho dunque più rincontrato gli occhi grandi di Chiara Schützen davanti a una tazza di tè. Io con le mie risate imperfette, lei con la sua pudica lavagna. Però, quasi tutti giorni, quando aprivo distrattamente le pagine di Facebook potevo costatare la sua attività a dir poco furibonda. Quando si alzava la mattina scriveva "mi sono alzata", andando a letto la sera "sono andata a letto". E poi riflessioni più tortuose, anche un poco altisonanti e spesso virate al mistico e all'allusivo; oltre che alla comunione trascendentale tra uomo e natura, da cui il nuovo cognome. A cui accompagnava, naturalmente, un prezioso palinsesto di video musicali espunti da YouTube. E da tutto questo adoperarsi ne ricavava una quantità di pollicioni alzati, traducendosi in "MacGuffin" hitchcockiano per interminabili conversazioni.

Del tipo: "Eh sì, tocca a tutti di alzarsi, altrimenti saremmo morti", come risposta alla sua dichiarazione mattutina. Con un altro che aggiunge: "Sai che ti dico, io oggi ho deciso di non alzarmi". E un altro ancora: "Beata te che ti alzi, io sono a letto con l'influenza". Insomma, quel che si dice un ampio e problematico dibattito intellettuale. Ma ancora una volta ne prendo semplicemente atto:

è Facebook, quella cosa lì. E' il nostro tempo.

Al contrario, fuorviando probabilmente la natura del mezzo, io mi limito a inserire sulla bacheca di Facebook il rimando ai miei testi nel blog, in forma di semplice link. E sono interventi, lo confesso, per cui in molti casi ho dovuto spendere tempo e concentrazione, pause nella ricerca della parola giusta. Sforzo insomma. Poi però subito scappo via, mi disconnetto, senza aggiungere commenti, dichiarazioni di intenti giornalieri o pollicioni alzati nei post altrui.

Sarà forse in ragione di questa mia programmatica ritrosia che da qualche tempo, quando mi alzo - oggi mi sono alzato – o vado a dormire – sono andato a letto -, non trovo più le avvincenti cronache quotidiane di Chiara Schützen. Così controllo tra i miei contatti e mi accorgo con sorpresa che è sparita dalla lista degli “amici”, scomparsa nel nulla, dileguata.

Penso da principio, e con sollievo, che anche lei abbia deciso di cambiare vita, casa, macchina, vestiti, lavoro. O magari di ricongiungersi con il suo ex fidanzato, ridando vita all’Unico infranto. E che sia così sgusciata fuori dalla lavagna di Facebook, la sera, o la mattina presto in punta di piedi, senza però dire a nessuno “oggi mi solo alzata, e sono fuggita via”. Quindi, come anche io mi propongo sempre di fare, sia tornata a pestare i piedi dentro alle pozzanghere sporche. A ridere insieme alle risate senza denti dei matti.

A un ulteriore verifica, mi accorgo però che è ancora ben conficcata dietro a quella lavagna incombente, non si è cancellata. E il suo libricino catalogato e ben riposto dentro la sconfinata biblioteca di Facebook. Sì, Chiara Schützen, come Silvio, c'è. E menomale...

Sono dunque solo io - me ne rendo finalmente conto, che ingenuo! - a essere stato definitivamente espulso dalla sua vita, radiato da quella rozza caricatura dell'amicizia che sono i contatti personali, confinato nel limbo opaco dell'irrilevanza. E inizio così a riflettere sulle ragioni della cacciata dal paradiso di Chiara Schützen:

non le ho mai fatto nulla... scritto alcunché di sconveniente... offesa in vario modo...

Ma forse è proprio quel nulla, nel tempo e nel tempio di Facebook, a essere diventato sconveniente. Appendere il cartellino del proprio pollicione all'affermazione tautologica di un risveglio, commentarlo, è viceversa un tutto gradito, un galateo perfino preteso dentro l'urgenza di segni di quella lavagna morta, ma affamata di riscontri. Quasi fosse un eccentrico vampiro che, invece del sangue, pretende il proprio quotidiano contributo di gesso. Il succo grafico in una vita altrettanto ipotetica.

E così anche io lascio la mia pisciatina sul paracarro, timbro il cartellino su Facebook. Ma non è abbastanza. Comprende ma non si impegna, direbbero le vecchie maestre di una volta. Non partecipo con sufficiente convinzione ed entusiasmo. O se lo faccio vado fuori tema, non parlo del mio compagno di banco, eccedo il momento presente. Tanto da finire in castigo, non dietro la lavagna ma fuori dalla porta.

Una porta da cui sono entrato all'incirca un paio d'anni fa, iscrivendomi a Facebook. E come ho detto senza fare molto più che aggiungere un rimando ai miei occasionali interventi. I quali, progressivamente, vanno però perdendo di generale interesse, scorrono nella più assoluta e totale indifferenza. Quasi fossero titoli di coda di un film polacco con sottotitoli in russo. Quello tra me e Facebook somiglia forse al rapporto che esisteva tra Alberto e Chiara Schützen. Lui parlava sempre, di continuo, produceva e promuoveva sillabe. E lei se ne stava zitta.

Solo che non ho ancora capito se io sono Chiara oppure Alberto...

Ieri ad esempio ho scritto un intervento che è forse il mio più importante e denso, almeno da quando tengo un blog. Una riflessione complessa sullo spettro degli anni ottanta, che a distanza di decenni continuerebbero a sporgersi sul presente, confondendone i linguaggi in una Babele di segni. Una riflessione a tratti difficile, lo riconosco, perfino dolorosa e spudorata. E la cosa che mi ha più sorpreso è stata questa: è stato anche il giorno in cui ho avuto in assoluto meno visite sul sito. Oltre che meno reazioni, commenti, pollicioni alzati. Niente di niente.

Attenzione, non voglio fare una geremiade personale, ma semplicemente appoggiarmi alla minima vicenda di Chiara Schützen per introdurre un elemento di dubbio, il sospetto di qualcosa di più ampio che ci sta accadendo; si, anche a te Alberto, che ora starai accomodato in chissà quale nuova berlina accessoriata, morbido pullover, amore totalizzante e remota fosforescente galassia. Noi, sì. Tutti noi. Già messi a dura prova dalla complessità caotica della scena moderna, che avrebbe bisogno di una complessità interpretativa almeno speculare, per reggerne l'urto, per non essere sommersi dall'onda, noi che facciamo?

Cerchiamo la semplicità, è chiaro.

Rispondiamo, come la psicologia dinamica ha da tempo intuito, attraverso la figura tipica della formazione reattiva. Costituita dalla scorciatoia estetica, o meglio ancora esotica, spirituale, il gessetto rosa con cui scrivere "oggi mi sono alzato", "sono andato a dormire", "eccì", "uff", "che palle..." Oppure è la fine citazione esoterica da Guenon, la foto del bambino tanto carino al suo primo dentino - e giù, su quello, migliaia di pollicioni - la sdegnosa constatazione: “Hai visto come era vestita di merda la Canalis a Sanremo?”

Ci rifugiamo insomma dentro l’alfabeto dell’impressione, non disponendo più di un alfabeto adeguato all'elaborazione.

Da questo punto di vista Chiara Schützen non rappresenta un incidente di percorso, ma addirittura un campione di modernità incarnata: la resistenza a incontrarmi dentro la vita, a fronte della sua offerta ad essermi "amica" nel possibile; l'urgenza a tradurre in segno grafico ogni sussulto gastrico e contingente; la perentorietà didascalica e citazionista; il fastidio verso la complessità del reale fuggito in un idillio panico e alpino; il bisogno di un consenso visibile e immediato, da enumerare poi sul moderno abaco dei pollicioni.

Tutto questo ci riguarda molto più di quanto si sia probabilmente disposti ad ammettere, perché Facebook non rappresenta forse altro che il Verbo unico dell'impressione, che si dispiega imperioso dentro la cornice mobile del presente: "l'impressione al potere", ecco. E chi non si allinea, fuori dalla porta!

La risolutezza di Chiara Schützen nell'espungere qualsiasi elemento di alterità - in questo caso si tratta di me, o meglio del mio recalcitrante avatar nominale - da un orizzonte addomesticato che davvero finisce col somigliare alla Casa di bambola di Ibsen, si mostra così in filigrana quale esisto necessario e addirittura previsto. Ma forse, più che a Ibsen, converrebbe richiamarsi a Flaubert, tanto per fare anche io la mia porca figura con le citazioni. E concludere che in fin dei conti, Chiara Schützen, c'est moi.

62 commenti:

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