La vicenda biblica di Giobbe, da cui la mia biografia ha ricavato un gustoso tableau vivant, racconta una storia diversa da quella dell’Uno, l'Uno che crea per autoconoscersi, men che meno per amore. Piuttosto, l’Uno, detto dagli amici del Bar Paradiso Dio, crea per intrattenersi, per ricavare svago dalle sofferenze del creato. Come i bambini piccoli che si compiacciono nell'osservare la propria cacca.
La condizione umana non sarebbe dunque tragica, non
agli occhi del Dio di Isacco e Abramo, che sono occhi colmi delle lacrime del
riso, si sganascia nel vedere i patimenti dei suoi burattini, in cui
sarebbe ora che includessimo anche animali e vegetali.
Una farsa cosmica in cui possiamo anche individuare
le dinamiche strutturali; non le ricaviamo dai trattati di teologia, ma dai film
di Stanlio e Ollio. Prima Ollio dà una spintarella a Stanlio, Stanlio ribatte
facendogli cadere il cappello, Ollio gli dà una nuova spinta più forte della
prima, Stanlio gli pesta un piede e così via.
Quando vedo questa scena a me viene sempre da ridere.
E così Dio ride nell'assistere alla progressione funesta dei mali che
colpiscono Giobbe (gli fa crollare la casa, all'interno i sette figli maschi e le tre femmine, tutti morti, e se ancora non bastasse abbatte su di lui la sofferenza della malattia), ride dandosi di gomito con Satana per le nostre sventure. Ciascuno di noi è infatti Giobbe, o se
preferite potete chiamarlo Charlie: Je suis Charlie Hebdo. Nuovo slogan per l'antica condizione di vittima.
Certo, come in ogni farsa l’entrata in scena è
dilazionata, c'è il momento di Tizio e quello, successivo, di Caio. Nell’ultimo
anno io ho fatto tombola con la sfiga, ma non compiangetemi, prima o poi verrà
anche il vostro turno. Recita un proverbio milanese: can magher se taca i
muschi (al cane magro si attaccano le mosche, e cioè sul fragile si accanisce
una potenza distruttiva).
L’unico appunto che muovo al figlio unigenito di questo gran burlone è che, nel discorso delle beatitudini, non abbia incluso i suicidi. Sì, beati i suicidi. I soli tra noi ad avere avuto il coraggio di rispondere alla chiamata per l'ennesimo ciack si soffre – ma mi raccomando fate cheeees, e niente cornetti rossi o altri ninnoli per sfangarla – intonando i primi versi di una vecchia canzone di Mina: Non gioco più, me ne vado…
(PS - Non mi sfugge che alla fine Giobbe, nell'omonimo
libro, viene risarcito. Ma probabilmente aveva un buon avvocato, perché non ho
ancora visto nessuno ottenere un simile indennizzo.)
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