giovedì 23 novembre 2023

Lo sfigato e la puttana, o su come le parole fanno mondo


I femminicidi stanno diventando un fenomeno simile ai monsoni nel subcontinente indiano: vengono vigliaccamente compiuti da un maschio, se ne parla molto e non di rado a sproposito, poi, per un poco, ce ne scordiamo in un'apparente quiete di vento, fino a che una nuova tempesta si abbatte. Una ricorsività priva di fantasia di cui sorprende solo la nostra memoria corta.

Giulia Cecchettin avrebbe potuto chiamarsi Concetta Scognamiglio o Anna Rossi, la sua morte era comunque attesa, come purtroppo la prossima vittima, speriamo il più tardi possibile. Ma proprio perché siamo una specie smemorata è tanto più forte la reazione emotiva, al punto che qualcuno si chiedeva in questi giorni quale fosse l'equivalente maschile di puttana, riferito a una donna con intento offensivo. Non ho dovuto pensarci molto prima di concludere: sfigato.

È interessante notare come i due termini coincidano nel giudizio di valore, che non potrebbe essere più sprezzante. Si pongono però in antitesi quanto al loro significato: da un lato, con puttana, abbiamo una sorta di eccesso – poco importa se l'esubero (di “figa”) venga spartito per noia, professione o come Bocca di rosa né uno né l'altro, lei lo faceva per passione – mentre lo sfigato sconta l'avvilente regime della penuria. Ma sei puttana anche se revochi l'offerta di ciò che è e rimane tuo a chi si illudeva di esserne monopolista, e sfigato se non fai valere questo illusorio diritto. Da qui il femminicidio.

Ancora più interessante è indagare l'uso accidentale dei termini. Se ad esempio troviamo l'auto lasciata in sosta con una lunga ammaccatura sulla fiancata, l'esclamazione che segue non sarà porco patriarcato, ma più verosimilmente porca puttana! Potremmo pensare a qualcosa di simile all'inconscio psicoanalitico – già Lacan poneva un'analogia tra linguaggio e inconscio –, ma a differenza di quello non si mostra nei sogni e negli atti mancati, ma attraverso imprecazioni che emergono quando rabbia e dolore prendono il sopravvento.

Pensiamo alla sequenza del film Berlinguer ti voglio bene, con Benigni, nel ruolo di Mario Cioni, che ha appena ricevuto la notizia della morte della madre; fortunatamente si rivelerà solo un macabro scherzo degli amici. Mentre attraversa i campi per raggiungere la casa di famiglia è tutto un gorgogliare di frasi sconce – “la merda della maiala degli stronzoli nel culo…” –, un vulcano che solo così riesce a eruttare il suo male.

Per comprendere il codice di ciò che fa tana sotto i discorsi nei talk show, dove si commenta forbitamente la tragedia del giorno, meglio sarebbe allora spegnere il televisore e andare in vacanza con Filini, quindi tenere in posizione verticale il picchetto della tenda mentre questi cerca di conficcarlo al suolo con un grosso martello. Non rivelerò cosa avviene dopo, essere italiani comporta la conoscenza di quest'altro film e delle memorabili sventure del suo protagonista, il rag. Ugo Fantozzi.

Se in condizioni estreme la donna, nell'immaginario maschile, si converte in puttana, e la puttana in porca, bisogna riconoscere che nella maggior parte dei casi il pregiudizio non viene replicato nei gesti. Nel nostro solo Paese si verificano ogni anno un centinaio di femminicidi, ma per ognuno di essi abbiamo migliaia di maschi gentili e premurosi verso le loro compagne. Le esclamazioni sessiste sono insomma solo modi di dire, come le donne dicono di quel tale ma l'hai visto, che sfigato!, conversando sotto il casco del parrucchiere.

Tutto bene dunque, tutto a posto? Sì e no. Perché tra la regola e l'eccezione si mostra un sottilissimo filo, costituito appunto dal linguaggio. Per reciderlo e fare volare il palloncino in cielo dovremmo imparare la difficile arte dello sdoppiamento vigile, ascoltarsi mentre una lingua ci parla (con l'illusione essere noi a parlarla) potrebbe essere una buona propedeutica.

Magari continueremo a dire porca puttana, porca troia, sfigato – succede mica niente, a catechismo venivano chiamati peccati veniali. Ma almeno avremo intuito da quali oscure profondità alfabetiche provengono i comportamenti che gli fanno da specchio, dove non esiste lo smaltimento dei rifiuti verbali. Si trasmettono da una generazione all'altra, saturano il cazzeggio negli spogliatoi, si accumulano alla maniera delle pile degli smartphone che prima o poi dovremo spedire sulla luna.

L'omicidio di una donna da parte di un uomo respinto rappresenterà pure un caso su un milione, come il legno con cui viene costruita una ghigliottina. Ma prima è stato un albero uguale a tutti gli altri, prima ancora un seme, che non a caso possiede lo stesso etimo di semantica. Una parola insomma, seppellita sotto la terra dissodata dal conversare distratto. Se le condizioni ambientali le sono propizie poi accade quel che accade. Mentre con il diserbante della consapevolezza, la si può forse stroncare prima che sbocci.

2 commenti:

  1. Post eccellente.. mi hai aperto gli occhi.. porca puttana com'è che non ci ho pensato prima.. grazie Guido!

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