giovedì 9 novembre 2023

Antisemitismo, una proposta omeopatica

Il termine antisemita, riflettevo, è composto dal prefisso anti e dal sostantivo semita. Ora, per essere antisemiti si deve come minimo credere che esistano degli uomini diversi dagli altri uomini – i semiti appunto, o ebrei –, e che questi uomini diversi abbiano (o dicano di avere) un rapporto privilegiato con Dio, un patto di alleanza proprio, e poi buffi cappellini, candelabri etc.

A tutto ciò evidentemente Hitler credeva, come ci crede Amichai Eliyahu, l'ex ministro della cultura israeliano dalla fervida immaginazione forgiata nel war gaming; di recente ha dichiarato che una bomba atomica sopra Gaza sarebbe una soluzione come un'altra, perché no? Con la PlayStation 5 è un attimo.

L'unica differenza tra i due è che Eliyahu non mette il prefisso anti, anzi lo mette ma ai palestinesi, è antipalestinese come Hitler era antisemita.

Se un semplice prefisso è stato in grado di mutare così profondamente la storia, tocca andare più a fondo, scavare, cercare di capire da dove proviene e cosa intende comunicarci.

Per fortuna è relativamente semplice: significato e forma sono rimasti quasi immutati nei secoli, muovendo dal sanscrito al latino passando per il greco, fino a giungere alle moderne lingue europee. Ma mentre per il sanscrito possiamo fare solo delle ipotesi, nel greco, con anti, ci si riferisce perlopiù a un elemento di contrasto (essere contro), che nella sua evoluzione latina in ante prende a significare anteriorità, sia temporale sia spaziale – in fondo, nell'attesa di muovere all'assalto gli eserciti stanno uno di fronte all'altro. Ed è così che prima davanti e contro si passano il testimone.

Ricapitolando. Se io fossi antisemita dovrei, come minimo, credere che esistano i semiti, quindi essergli contrario, giusto?

No, sbagliato. Nell'oscillazione semantica del termine starei, in tal caso, propendendo per la sua interpretazione prevalente, che però non è l'unica possibile. Ad esempio, potrei essere antisemita alla latina, e pensare che prima, ante, di Abramo, Isacco e Giacobbe, prima del tempio di Gerusalemme distrutto nel 587 a.C. da Nabucodonosor e poi nel 70 d.C. da Tito, prima dei prepuzi circoncisi e delle freddure di Woody Allen, prima anche di un dio inflessibile che iscrive le sue leggi sulla pietra e guai a trasgredirle, prima di ogni cosa visibile e invisibile esista un altro dio, da cui un'altra possibile storia.

L'altro dio si chiama Elohim ed è un tizio molto più simpatico di Jahvè, anzi si tratta forse di una moltitudine diffusa (il termine ebraico che lo designa è un plurale), la quale non ha mai imposto all'uomo alcun divieto, ma invitato a guardare alla vita come a un incessante processo tra il prima e il poi, in cui non solo il divino ma anche l'umano è parte attiva, cominciando dai nomi da assegnare alle cose. Cambiando nome o anche solo interpretazione, cambiano le cose.

Se ne ricava che esiste un approccio, per così dire, omeopatico all'antisemitismo, e consiste nell'essere a propria volta antisemiti, ma nell'accezione latina. Naturalmente non mi sfugge che perdurano tradizioni secolari  – le religioni ma pure, laicamente, le culture, i cui ministri a volte parlano a vanvera... – e io rispetto quelle tradizioni e chi vi aderisce, dove l'elemento oppositivo e identitario prevale sul fluire spaziale e temporale, a costituire un elemento di discontinuità tra diversi. Sono le cosiddette radici.

Sotto le radici, sotto la pianta, non c'è però il nulla, ma la terra, l'acqua, il fuoco. I soliti greci lo chiamavano archè. Ma nell'incertezza sulla sua natura possiamo accontentarci dell'umano, a cui accostarci quale pienezza generativa. Ecce homo!

Ogni volta che si è cercato di frazionare la totalità degli uomini e perfino degli animali, il mondo, il cosmo e il suo pulsare, si sono create le premesse dell'antitesi (insanabile contrasto tra opposte tesi), di cui il presente sembra fare da riflesso e mostrarci solo l'aspetto disgregato, privo di soluzioni in quanto insoluto. E per quanto le distinzioni sono importanti non sono tutto, o per meglio dire non sono il Tutto.

La soluzione sta così nel risvolto percepibile della totalità, the shining side of the moon. Ma se il re è nudo, al solito, solo un fanciullo se ne accorge. Basterebbe essere antisemiti non meno che antipalestinesi, antitaliani, antipugliesi, antimilanisti, antiqualsiasicosa. Ma non perché si intenda sbarazzarsi dell'oggetto anti-tetico, e piuttosto guardando a esso come a ciò che viene prima e sta davanti, o se si preferisce il prossimo tuo.

Solamente cogliendo l'ambivalenza semantica celata nel termine, l'altro smette gli abiti da oplita pronto a scagliarci in petto la sua lancia – magari, ci ha suonato alla porta perché ha finito lo zucchero, o perché si sentiva solo e aveva voglia di farsi una partitella a briscola.

Non arriverò a dire che siamo fratelli, abbracciamoci, porgiamo l'altra guancia e volemose bene; qualcuno l'ha già detto in un prima che si è trasformato in poi ugualmente divisivo, un anti alla greca. Ma almeno si potrebbe provare a essere cugini: ognuno a casa propria, va bene, ammesso e non concesso che tutti abbiano una casa, una terra. Ma anche se così fosse, la propria casa è nella migliore delle ipotesi una roulotte. E siamo solo all'inizio del viaggio. 

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