giovedì 17 agosto 2023

Scrittori e cantanti, second track

Provo a integrare quanto ho scritto di recente sui cantanti che pubblicano romanzi; pratica altamente diffusa e dagli esiti variabili, particolarmente sgradita agli scrittori-scrittori.

Devo dire che un po' li capisco: è come per quelli che attendono da ore l'ingresso al Billionaire. Poi arriva Bobo Vieri, saluta distrattamente con la mano (con l'altra cinge una ragazza a cui vorresti misurare le gambe, mica lo immaginavi che potessero esistere gambe tanto lunghe), e viene fatto accomodare direttamente nel privè, con la bottiglia di champagne già stappata sul tavolino. Oppure vedi uno scavallare la fila alle poste, quella per salire sulla nave dei pirati al luna park, qualsiasi fila, scegliete il paragone a voi più congeniale. Ė un fatto che anche i cantanti, quando pubblicano narrativa, saltano la fila, giovandosi di un privilegio guadagnato altrove, o meglio ancora di uno status.

Status che però rappresenta la proverbiale arma a doppio taglio, e prima di rosicare (anche io scrivo gratis su Facebook quando John Elkann firma ben remunerati reportage sui lanzichenecchi, cosa che non mi riempie certo di gioia) prima toccherebbe addentrarsi in un ragionamento più sottile, intellettualmente onesto.

Ma per farlo immaginiamo una situazione concreta: Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, si presenta in una famosa casa editrice con un nuovo romanzo già bello e pronto, manca solo l'ok del direttore editoriale. Ora se non si tratta di Adelphi che come noto soffre di bastiancontrarismo (pubblico anch'io? No, tu no), qualsiasi altro editor manderebbe immediatamente in stampa il romanzo di Jovanotti, senza neppure aver letto il titolo che tanto verrà cambiato.

Da un punto di vista commerciale probabilmente avrebbe ragione l'editor, ma solo fino a un certo punto. Continuiamo infatti a immaginare: il romanzo di Jovanotti è un capolavoro, improbabile ma non impossibile. Già me li vedo i redattori dei supplementi culturali, ma in fondo anche i lettori forti, smaliziati: Jovanotti... Ma non è quello che cantava "sei come la mia moto sei proprio come me"? Mica è uno scrittore.

Essere un cantante popolare e incorporarne lo status in ambito letterario, corrisponde a ciò che nel linguaggio del marketing viene chiamata estensione di brand: piazzi un coccodrillo su un paio di scarpe sportive qualunque e, oplà, diventano delle Lacoste, per il mercato immediatamente più appetibili. Ma non così appetibili come delle Adidas o delle Nike, che sono nate con quella specifica caratterizzazione merceologica. Sono, a un tempo, le Lacoste, più delle scarpe anonime ma meno di chi possiede uno status di settore.

Questa è la ragione per cui l'eventuale capolavoro di Jovanotti non potrebbe mai vincere il Premio Strega, anche se si presentasse alla premiazione con il collarino fetish come fece Desiati. Autore a cui personalmente preferisco i romanzi di Guccini, ma anche lui è un cantante, solo un cantante, e non può essere preso sul serio dal sistema culturale.

Una condizione paradossale di accesso/limite descritta nella psicologia del linguaggio da Paul Watzlawick, il quale ha mostrato il funzionamento delle ingiunzioni contraddittorie, i doppi legami. Hanno esattamente questa struttura: vieni Tiziano Ferro, dai, vieni, pubblica un romanzo con noi... Ma poi non sperare di farti chiamare scrittore, quella sedia già è occupata da persone più serie e corrucciate di te. I veri scrittori.

Ritroviamo la stessa ambivalente dinamica anche nei cosiddetti figli d'arte: facilissimo è per loro il primo passo, avere accesso alle audizioni, ottenere particine, trovarsi al Caffè della Pace a parlare di Brecht, Shakespeare e fica. Ma difficilissimo fare scordare a pubblico e recensori che sei solamente il figlio di.

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