A Castelfranco Veneto la libreria Ubik si rifiuta di vendere il libro del generale Vannacci, e Ferdinando Camon, sul Mattino di Padova, critica quella scelta in un articolo che sta facendo discutere, anche per via di una lunga articolata risposta della libraia incriminata, Clara Abatangelo.
Ma non anticipiamo il suo pensiero e restiamo a ciò che ha scritto Camon,
il cui argomento cardine è che solo avendo accesso a un testo si può sviluppare
un pensiero critico al riguardo, non è mai una buona idea oscurare la
conoscenza. A Camon capitò anni prima quando richiese il Mein Kampf
nella libreria Feltrinelli di Padova, ottenendo quale risposta: "Noi certa
robaccia non la vendiamo." Fu un errore allora e fu un errore adesso,
conclude Camon.
Fino ad alcuni anni fa – diciamo dieci, massimo quindici – l'avrei pensata
come lui. E appartenendo a una o forse anche due generazioni anteriori alla
mia, non mi sorprendo che continui a pensarla così. Perciò lo rispetto, non
perché lo consideri un vecchio svampito (tutt’altro, e va ricordato che l’autore
di Occidente proprio del Mein Kampf si giovò per la descrizione
della sottocultura neofascista), ma è la sua biografia intellettuale a orientarne
la percezione, quella di un sistema culturale con funzioni determinate e fisse.
Ma rispetto anche la scelta di Clara Abatangelo: non la trovo astrattamente più
giusta, ma più attuale e cioè in linea con le mutazioni del sistema culturale, che diversamente dal sentire di Camon sono nel frattempo avvenute.
Il punto di discrimine va individuato nella piena affermazione
dell'e-commerce, con la funzione – funzione sociale proprio – delle librerie che
smette di essere quella di consentire l'accesso ai testi, come la funzione del
panettiere al pane e del lattaio al latte. Certo, esistevano ed esistono allo
scopo anche le biblioteche, insiste nella sua risposta la libraia, e ha
perfettamente ragione. Inoltre, continua con pari persuasività, l'attività di
vendita libraria va inscritta nel regime economico a tutti gli effetti,
sottraendola a un certo alone romantico da cui è circonfusa.
Ma qui mi pare che realizzi un autogol: non mi appare un'ottima idea rivendicare
la scelta di non vendere il libro più richiesto al momento, come se un bar, per
fare quadrare i conti, decidesse di non vendere Coca Cola. Può naturalmente non
farlo, ma per tutt'altri motivi: in primo luogo oggettivi (mi riferisco alla natura autoprodotta del testo, i due contendenti però non vi fanno riferimento, e quindi per il momento sorvoliamo) ma soprattutto ideologici, che
con piena legittimità sostengono la scelta di Abatangelo.
Ora il delicato punto del ragionamento consiste proprio nella legittimità
dell'ideologia, anzi in un certo senso, per un libraio, la sua necessità. Se
infatti la mediazione tra offerta e domanda nella filiera commerciale può ora
essere svolta da venditori impersonali come Amazon, con vantaggio economico e
piena efficienza, è a un altro e nuovo livello che va collocato il ruolo del
libraio. Da mediatore a operatore culturale a pieno titolo, che tra i suoi
strumenti performativi dispone della discrezionalità della proposta con cui
indirizzare il lettore.
Alla Ubik di Castelfranco Veneto, ad esempio, hanno deciso di vendere
qualsiasi nefandezza, purché l'autore non sia più vivente. Dunque Hitler sì e
Vannacci no. A me sembra un po' una sciocchezza, ma difendo il principio:
scegliere secondo una propria idea di giustizia, bellezza, forma e perfino
mondo. Che naturalmente è criticabile come ogni gesto estetico, seppur
indiretto.
In un parallelo con l'arte, potremmo vedere il libraio contemporaneo come
figura simile a ciò che è stato Achille Bonito Oliva per la neoavanguardia: un
attore effettivo del movimento, non semplice recensore esterno.
E così i librai, se vogliono sopravvivere alla concorrenza di internet,
possono e devono fare cultura, prendere parte, partito, posizionarsi sulla base
dei propri convincimenti in molti campi non limitati alla qualità formale del
testo. Ciò si fa
anche attraverso scelte discutibili come negare ai propri clienti un libro,
probabilmente pessimo, ma oggetto di dibattito civile.
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