mercoledì 16 agosto 2023

Cantanti che scrivono e scrittori che rosicano



Mi infastidiscono le lamentele degli scrittori ogni volta in cui un cantante scrive e ancor peggio pubblica un libro – è di questi giorni la notizia che Tiziano Ferro ha realizzato un’opera narrativa, La felicità al principio, edizioni Mondadori.

Una lagna che si ripresenta anche nel caso di attori, radiologi, commercialisti, nani da circo etc. La scrittura agli scrittori, questo il sotto testo. Un argomento implicito anche in un recente intervento di Carmela Scotti su Facebook, una scrittrice e, soprattutto, una persona verso cui provo grande considerazione e affetto. Quindi questa non vuole essere una polemica ma un ragionamento, cominciato tra i commenti al suo post.

Per come la vedo io, è la domanda stessa – chi è legittimato a scrivere? – a mancare di sostanza. La scrittura rappresenta infatti la forma grafica di una lingua fonetica; una delle tante lingue storiche oppure di invenzione, come il grammelot. Premessa da cui arriviamo a quella che mi appare la domanda decisiva:

a chi appartiene il linguaggio?

A tutti, è evidente. A tutti e a nessuno – Lacan lo chiamava il Grande Altro perché ne siamo parlati mentre lo parliamo, ci inscrive dentro la sua struttura (che è primariamente un'interpretazione del mondo) mentre lo scriviamo. Diciamo che quella col linguaggio è sempre stata una relazione aperta, dove alle corna si alternano gli abbracci.

Tra gli amanti, come sempre, qualcuno sarà più erotico e smaliziato, avrà una maggiore abilità nello stuzzicare il corpo verbale, altrimenti detta competenza linguistica. Possiamo anche chiamarli stile e vocabolario attivo (in Italia stiamo messi piuttosto maluccio: un ventenne, mediamente, conosce duemila vocaboli, contro i cinque o sei mila degli anni Sessanta).

Diciamo allora che uno scrittore, proprio perché scrive con una regolarità che ne legittima lo statuto da esibire sui social, svilupperà una familiarità maggiore con le possibilità espressive della lingua, cosa che però non fa ancora di lui un buono scrittore.

Ma arriviamoci per piccoli passi, in forma di nuovo interrogativa. Cosa unisce i seguenti nomi: Emily Brontë, Oscar Wilde, Anna Sewell, Alain-Fournier, Margaret Mitchell, Boris Pasternak, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Sylvia Plath, J.D. Salinger?

Risposta: sono tutte persone che hanno scritto un solo romanzo nella vita, e per quello sono giustamente ricordate. Mentre Amalia Liana Negretti Odescalchi, in arte Liala, di romanzi ne ha scritti ottantaquattro, e non si può dire che la loro qualità fosse superiore alle opere degli autori menzionati. Viene così meno anche l’argomento per cui più si scrive più si diventa bravi a scrivere.

La storia della letteratura è inoltre piena di grandi autori che provengono da altre professioni, su tutte prevale quella di medico; particolare che personalmente trovo significativo. Mentre nella musica l’unico medico che mi viene in mente è Enzo Jannacci. Torniamo così alle nostre domande.

Perché gli scrittori, per fare dispetto a quegli usurpatori dei cantanti – Tiziano Ferro ma anche Ligabue, Guccini, Vecchioni, Capossela, De André, Ruggeri, Bianconi, Nada, Lenzi, Camillas, Agnelli, Brondi, Lo stato sociale, Lauro, Colapesce, Lolli, Clementi… e potrei continuare con la complicità della barra delle ricerche su Google – perché non scrivono anche loro delle canzoni, o ancora meglio una sinfonia?

Semplice, perché non ne sono capaci.

La composizione musicale presuppone la conoscenza di un linguaggio non naturale, acquisito con lunghi anni di studio e pratica. Un sapere tecnico (notazione e armonia e melodia, per non parlare di quei due vigliacchetti dei bemolle e diesis) che non garantisce la bontà dell’opera, ma è piuttosto una sorta di conditio sine qua non. Mentre per scrivere narrativa non esiste alcuna barriera d’accesso: dopo che un bambino ha imparato a dire mamma, pappa, cacca e no, è già un potenziale scrittore.

Le storie da raccontare non gli mancano di certo, come quella volta che è cascato il succhiotto nell’omogenizzato di pollo ed è rimasto conficcato con la stessa assertività della bandiera che Niels Armstrong pose sul suolo lunare; le mamme si raccontano simili aneddoti ai giardinetti, il trasporto è quello che immaginiamo in Omero nel narrare l’ira del pelide Achille. Saranno forse storie modeste, ma sono pur sempre storie.

Che se ne facciano dunque una ragione i miei amici scrittori: invece di lamentarsi a ogni puntuale sconfinamento di un cantante nei loro possedimenti, si concentrino nello scrivere storie migliori di quella dell'omogeneizzato; cosa che purtroppo non sempre avviene, nemmeno in chi esibisce la sigla di scrittore sul cappellino a forma di cono, alle scuole elementari di un tempo ci veniva scritto sopra asino.

Ecco, se dovessi dirlo con una battuta: uno scrittore è un asino – non sa fare niente che non sappiano fare anche gli altri – ma quando è un bravo scrittore (come Carmela Scotti) quel niente gli viene particolarmente bene, favorendo il manifestarsi di bellezza e comprensione nel lettore. Altrimenti è un asino e basta.

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