lunedì 7 agosto 2023

Lei è un cretino, si informi!

A integrazione di quanto ho già scritto sull'affaire Concita De Gregorio, sento di avere ancora un sassolino nella scarpa, e lo condivido nello spirito un po' vigliacchetto del mal comune mezzo gaudio. Nella discussione, particolarmente accesa, io distinguerei infatti tra un piano linguistico e uno etico.

Nel secondo caso lo svarione di De Gregorio c'è obiettivamente stato, per quanto involontario. Alcuni passaggi del suo testo sono davvero disturbanti. Ma l'aspetto linguistico si fa più ambiguo e sdrucciolevole, rendendo per certo verso esemplare il suo articolo. Aggettivo che non utilizzo, naturalmente, in senso elogiativo, ma perché se ne ricorderanno per anni nelle scuole di giornalismo, in cui verrà utilizzato come caso di studio.

Tradotto in forma interrogativa e tecnica: quand'è che un termine (o un costrutto verbale) perde la sua funzione denotativa e ne assume una connotativa?

Con cretino non c'è dubbio che sia avvenuta una sorta di diluizione, quasi tutti ci siamo dimenticati che si trattava in origine di una grave forma di handicap cognitivo, al punto che alcuni dizionari ancora riportano: "cretino, uomo gozzuto della Valtellina"; patologia probabilmente indotta da uno scarso apporto di iodio in questi luoghi, dove ho avuto la ventura di nascere.

Eppure, negli stessi anni in cui i dizionari venivano stampati, Totò poteva tranquillamente dire "lei è un cretino, si informi!" Il termine è qui chiaramente connotativo, di più, estensivo e ormai quasi indipendente dal suo significato letterale.

Se però parli di cerebrolesi a cui pulire la bocca, ecco che ritorna la denotatività della sofferenza psichica, unita all'ideologia fasulla del ma no, scherzavo, "i cerebrolesi sono persone meravigliose".

Qual è dunque il confine tra denotatività e connotatività in ciò che scriviamo?

Una possibile provvisoria risposta sta nella distinzione tra lingua narrativa e comunicativa. Per paradosso, è proprio la scrittura narrativa che si approssima alla sostanza delle cose, secondo il proverbiale slogan, con cui aprono tutti i manuali di scrittura creativa, show, don't tell.

Se rileggiamo, per quanto malvolentieri, quanto pubblicato sulla pagina dei commenti di Repubblica, ci accorgiamo così che si trattava a tutti gli effetti di un racconto:

"Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca."

Ci sembra davvero di vedere la scena. Sembra di vederla a noi come ai genitori, parenti, amici di persone a cui quotidianamente viene pulita la bava dalla bocca perché non riescono a farlo da sole, o non ne hanno percezione. E utilizzare l'immagine come insulto è emotivamente intollerabile.

Ma ecco che torniamo al punto: l'immagine è intollerabile, non la parola. Le immagini, anche quando espresse verbalmente, scavano molto più delle parole, tanto da trovare facezie da politically correct tutte le menate sulla schwa o Presidente piuttosto che Presidentessa del Consiglio. Mentre nel leggere l'articolo siamo turbati, e ciò malgrado il riferimento metaforico è a persone "normali".

Forse perché qui abbiamo visto e là solamente udito?

Non so, è solo un'ipotesi. Ma il doppiamente maldestro esercizio narrativo di Concita De Gregorio ha se non altro il merito di aver posto il dilemma con chiarezza.

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