Nell'antichità era diffusa la pratica della
bibliomanzia. Si apriva a caso la pagina di un libro, in particolare della
Bibbia, e da quel che si leggeva si ricavavano delle indicazioni pratiche per
la propria vita, frutto del collegamento con una domanda posta al testo in
precedenza. Del tipo: È opportuno che io intraprenda il viaggio per Antiochia?
Risposta: "La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio
sentiero", che con un po' di immaginazione potrebbe essere tradotto con un
sì, va pure, ma sta attento a dove metti i piedi. Aiutati che il ciel t'aiuta.
A me pare la condizione della tarda modernità simile a
quell'antico scenario. Con eccezione dei rabbini, pochissimi allora avevano
letto il testo biblico per intero; e a differenza di Mallarmé nessuno direbbe
oggi "la carne è triste, ahimè. E ho letto tutti libri." Nemmeno
l'uno per cento di quelli pubblicati in un solo anno potrebbero essere letti in
una vita intera.
A parte gli studiosi di professione, filologi, docenti
universitari e cocciuti autodidatti che passano le giornate in biblioteca,
siamo la somma di pagine aperte e lette un po' caso, di cui il nostro corpo
costituisce la rilegatura. Ma mi sembra però di scorgere anche una differenza
con il passato. È difficile ora incarnare il nostro sapere frammentario,
indirizzarlo in un orizzonte biografico, al punto che il più delle volte non
viene neppure contemplata la possibilità.
Sì legge un libro, quando terminato si fotografa la
copertina e la si posta su Facebook. Ventidue like, va', non male, anche se con
la 'Cognizione del dolore' ne avevo fatti trentasette. Senza chiederci cosa
quel libro aveva da sussurrarci all'orecchio, proprio e solamente a noi, anzi a
me, non dovrebbero esistere plurali al cospetto di un libro preso davvero sul serio,
a cui affidare il ruolo di navigatore satellitare. E capite che senza questo
ausilio poi è difficile raggiungere Antiochia.
Nessun commento:
Posta un commento