Da alcuni anni – una decina, credo – si è diffusa nella città in
cui vivo la voce che io sia omosessuale. Prima ancora, sul mio conto era stato
detto che sono pazzo e che mi drogo – addirittura, gli zii di una mia ex
fidanzatina di un'estate, proprietari di un famoso negozio di tessuti e telerie
nel centro storico di Sondrio, avevano intimato alla nipote: “Quello è un
drogato, è stato in manicomio, come puoi pensare di starci assieme: lascialo,
vuoi far morire tua madre di dolore!”
Ora, io so
benissimo che abitare in provincia comporta degli effetti per così dire
"ermeneutici", con le persone che ti conoscono anche solo di vista che cercano di interpretarti di continuo, riconducendoti infine a categorie semplici e rassicuranti,
in quella sfrondatura della vita che gli anglosassoni riassumono con lo
slogan: “work, buy, consume and die.”
Avere avuto
percorsi di vita eccentrici, lavori precari, interessi artistici e culturali,
oltre a qualche relazione con donne di altri paesi (quindi non ostensibili a
braccetto sul corso principale) e una scarsa consuetudine con il Rotary e la
Gazzetta dello Sport, porta a essere incasellato nell’unico modo in cui viene
vissuta la diversità sociale: o sei matto o sei drogato o sei frocio. Nel mio
caso ho fatto tombola e guadagnato tutti e tre i titoli, con una recente
prevalenza per l’omosessualità.
Ci tengo dunque a
dichiarare pubblicamente che va benissimo, nessun problema: l’omosessualità non
è un reato, neppure è una cosa brutta di cui vergognarsi. Se qualcuno va in giro
sussurrando che sono pedofilo, lascia che senta e gli spacco la faccia. A
questo modo, invece, fate pure, se volete posso anche indossare degli slip rosa
col pizzo, alla maniera di Carry Grant. Io però me li metterò in testa, così da
riconfermare gli zii della mia vecchia fidanzatina sulla loro tesi: "Hai
visto, te l'avevamo detto!"
Stare in un luogo
piccolo, ma davvero piccino piccino da tutti i punti di vista, prevede di
sottostare a questi minimi giochetti di parola, come l'Occhiofino della celebre sequenza del Sorpasso. E poi il
pettegolezzo è una forma di collante sociale, a cui io stesso mi consegno di
tanto in tanto. La cosa che però mi irrita è quando qualcuno si aspetta che io
smentisca, quasi lo pretende: "Dai, dimmelo, dimmelo che non sei
ricchione…"
Sembra che la
sessualità sia un'automobile usata da rivendere, dando conto al potenziale
acquirente, o anche solo all'amico dell'amico dell'amica, sul suo buon
funzionamento, che la renda se non altro adeguata alle normative UE sulla copula.
Beh, non fatelo, non chiedetemi di mostrate bollini blu di conformità erotica – non permettetevi proprio! – o paciose giustificazioni con una pacca sulle spalle, ancora peggio se
lo fate indirettamente, tanto non avrete da me alcuna sconfessione neppure con
lo sguardo – quelle occhiate che significano: "Portami tua sorella, e poi
te lo faccio vedere io…"
Come chi, ecco,
avvisato che il bavero della sua giacca è sporco di sugo, subito corra in bagno
a lavarsi, per tornare a sedersi candido al banchetto dei candidi.
Se dunque ci
vedete follia, eroina, omosessualità sulla mia divisa di un altro colore, per dirla con le parole di quel tale, non
offritemi il vostro Via va, che così lo sporco se ne va. Al
limite, date un'occhiata allo specchio: potreste avere qualche interessante
sorpresa…
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