
Ivano Fossati ha scritto una canzone bellissima, portata a Sanremo da Fiorella Mannoia nel 1988. Le notti di maggio, si intitola così, e il testo è un monologo con un indefinito tu come riferimento vocativo, alla maniera delle poesie di Montale. L’interprete si rivolge a un certo punto all’interlocutore astratto: “Io conosco la mia vita e ho visto il mare \ e ho visto l’amore da poterne parlare…” Continuando più avanti: “Amore senza rimpianto \ e senza confronto \ che conosci la tua vita \ ma non hai visto il mare \ e non hai l'amore per poterne parlare.”

Ma non sarà che ogni esperienza autentica e vitale sta proprio in questa tensione, più che in una pigra acquisizione dell'oggetto a cui ci si protende, come la coda di Provolino nelle vecchie giostre? In fondo anche il rimpianto testimonia di un'assenza, un avere avuto ma non avere più, e quindi desiderare nuovamente, desiderare come e più di prima.
In un piovoso pomeriggio di novembre, che non potrebbe essere più lontano dal maggio notturno e tiepido degli amanti, mi viene da concludere che forse nessuno ha “visto” il mare come Franz Schubert, e fatto risuonare le sue onde con amore.
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