venerdì 18 novembre 2016

Dai che gli pisciamo in culo!, o sulla nostalgia come religione di questo tempo




In un vecchio romanzo di Gianni Celati c’è un bambino che, rivolto a un gruppo di bambini e parlando di un altro bambino ancora, dice: “Dai che gli pisciamo nel culo!”
E’ un’immagine potentissima che mi si continua a ripresentare, anche se non so bene perché.  Provvisoriamente, mi sono detto che deve essere per via del fatto che è una cosa un po’ da bambini, appunto: quel mondo confuso e amorale dell’infanzia, un’onda di fango dorato e tiepido che, alla mia età, si è già solidificata da un pezzo, cavando per ogni cosa una sua formina definita e stabile, una casella da barrare. 
Prima no. Prima la sessualità si mescola con il gioco, il piacere con il dispetto mentre il gruppo si oppone, quindi impone, sul singolo, sull’altro che a guardar meglio è una semplice caricatura del noi, a cui a turno sottoporsi come chi fa toppa a nascondino.
Ma sono tutti temi, a ben pensarci, che più che una stagione della vita ne segnano il confine, come il passaggio dell’ombra della meridiana dal valico invisibile del mezzogiorno, in cui ogni cosa sembra coincidere con se stessa. Ed è allora nel momento in cui appaiono le prime pulsioni sessuali, e con esse il sospetto che il pisello non serva unicamente per far pipì, che si incrina il sentimento di totale integrazione con il mondo e la famiglia, e forse proprio per questo subentra il desiderio di essere accettati (e confermati) da un gruppo di coetanei.
In fondo è semplice: iniziamo ad avvertire il bisogno degli altri quando la relazione è in pericolo, quando cominciamo a sentirci soli. Diversamente, il problema non si presenterebbe neppure. In particolare non avendo, se non sotto specie di crisalide informe, quell’involucro finemente profilato che si chiama io, gli unici problemi con lo specchio – sarò abbastanza forte, bello, intelligente, figo…? riguardano i denti da lavare, ma solo per non subire le ramanzine dalla mamma.
Pisciando, in gruppo, nel culo a chi del gruppo non fa parte, abbiamo dunque un gesto paradossale: da un lato viene affermata la totale aderenza al codice simbolico dell’infanzia, ma dall’altro – lo spettro minaccioso del sesso omoerotico, l’espulsione con relativa punizione del diverso, che fa da capro espiatorio al nostro peccato virtuale questa stagione inizia a declinare, evocando i demoni brufolosi dell’adolescenza.
In una contabilità un poco spicciola e grossolana, mi sembra allora che le tracce del crollo del regno glorioso dell’infanzia possano essere ricercate in una doppia disposizione: alla sessualità, e alla spiritualità. Si, anche la ricerca dello spirito, che come per il sesso testimonia della mancanza di ciò che si va cercando, alla fine pure corrisponde al sentimento di integrazione a un gruppo allargato: l’universo. E nuovamente si ricerca quel che non si ha, ma di cui si possiede la memoria che fa da modello alla prefigurazione.
In conclusione, la giocosa metafora di Gianni Celati mi ha fatto intuire la ragione della mia diffidenza non solo verso l'attuale rappresentazione del sesso, alla YouPorn, ma anche verso la spiritualità contemporanea, poco importa che sia tradizionale o venata dai fumi incensati della New Age. Io non aspiro infatti a disciogliermi in un generico noi universale, per banchettare con la Madonna e tutti i santi nel sentimento panico e gioioso di essere goccia del vasto mare. Ma che me ne importa a me, dico, perché dovrei sentirmi consolato dall’essere tutto nel Tutto, o diversamente niente di Niente, che poi è lo stesso? Io voglio essere solamente questa cosa qui, non so se mi spiego. Anzi: sempre e per sempre quella cosa là, che sono stato nel passato e adesso non sono più.
Non è complicato. Come ciascuno, anche io possiedo un indirizzo a cui rispedire il mio pacco sballottato per il mondo, un luogo e un tempo precisi che nel mio caso coincidono con la notte tra il 24 e il 25 dicembre del 1972, Sondrio, via Parolo, 10. Fuori forse nevica, facciamo che nevica, e dal mio lettino odo dei rumori in sala ma fingo di dormire, fingo che non esista la finzione. A quell’età tanto già si conosce quel che è vero, e la Verità è per definizione una sola: quella dell’autopista che avrei trovato la mattina al mio risveglio, l’autopista della Polistil con la replica della Fulvia HF di Munari e Mannucci, l’autopista nuova con quell'odore di nuovo da scartare, graffiando via con le unghie i fiocchi rossi, i nastri rilucenti, lo scotch e tutto ciò che mi separa dall’Assoluto Piacere che la Mamma, il Papà, Gesù Bambino, Babbo Natale o chissà chi (ma chi se ne frega del chi, la Verità è un complemento oggetto, la Verità è sempre e solo un cosa) stanno posando in punta di piedi a poche spanne dal presepe. Ma quello l'ho fatto io, infilando la carta stagnola sotto al muschio fresco per mimare gli stagni e i torrenti e i ruscelli, su cui alla fine ho posato le paperette di plastica, le abbiamo prese alla Standa insieme alle altre statuine e alla capanna di legno le pecore e i pastori vanno però distesi, la notte, per farli riposare le abbiamo prese insieme alla nonna Maria, che con l’altra mano tastava le mutande di lana per il nonno.
Ecco, questa cosa, questa sensazione notturna e lieve sono io, è il mio unico paradiso e altri non ne cerco, non ne voglio, ho già avuto e si vive ora degli spiccioli che la memoria ci lancia ogni tanto nel cappello. Nostalgia: il viaggio di ritorno, nostos, della mente verso casa.
Nel frattempo piscio, continuo a pisciare contro tutti quelli che mi dicono che invece non è così, gente che prova convincerti che c’è un senso anche nell’alopecia, che le donne a cinquant’anni diventano più belle e il paradiso viene dopo, non prima, dopo, mentre la direzione te la indica la punta delle scarpe. Come se esistesse un dio più grande e bello di quello inventato dal signor Polistil, un dio, il loro, che non vuole indossare la mascherina nera di Zorro, il cinturone di Tex Willer o si addormenta e sogna sui trenini Rivarossi, dondolandosi piano sulla ruota del Prater, ma fatta di Lego bianchi e rossi e blu e gialli e verdi e ancora. Ma se venite con me, gli pisciamo nel culo tutti assieme!

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