venerdì 11 febbraio 2011

Vitamine, o sulla grammatica del negativo




Nella speculazione teologica presente in molte tradizioni spirituali, specie orientali ma non di rado anche occidentali, il male, la sofferenza, il dolore vengono rubricati come "errore della mente"; insomma una cattiva interpretazione del nudo dato di realtà, che si presenta ai sensi svestito di qualsiasi intenzione. In quanto tale - cioè partecipe della sostanza eterna e onnipervasiva del divino - l'esperienza che l'uomo fa del negativo non può che essere intimamente buona e giusta, ci viene detto. Lo schema gerarchico di pensiero è quello che vede la morale discendere da un'evidenza ontologica: è buono tutto ciò che è. Punto. Sarebbe così l'interprete umano a originare il male, a diffonderlo successivamente nel mondo come fa Pandora, sotto forma di dubbio e fraintendimento. Ma si tratterebbe appunto di un male "insostanziale", difettoso...
Personalmente ho sempre trovato teologicamente dubitabile questa proposta. Che a ben vedere tende non solo a "bonificare" il male, per così dire, in un cortocircuito tra ambiti filosofici distinti (etica e ontologia), ma anche ad azzerare concettualmente la pregnanza di ciò di cui si discute: se tutto è bene per il solo fatto che è, in che modo potremmo ancora ricolmare di senso un contenitore linguistico svuotato, e quale significato non solo teologico ma quotidiano affidare al termine male? Inoltre: se ciò che è è, ciò che non è, di logica, non dovrebbe nemmeno possedere lo statuto di non-realtà, in quanto l'atto stesso di concepirlo mentalmente lo reifica e attualizza. Il verbo sostantivizzato essere, all'interno dell'esercizio formale della logica, è infatti l'unico termine a non possedere una specularità negativa, e ogni tentativo di uscire dalle categorie di esistenza ci porta contestualmente anche fuori dalle categorie della logica, in un esercizio che finisce con l'annichilire l'ordine stesso del discorso.
In questa diversa prospettiva il male è dunque
un fatto, una realtà come tutte le altre. E ciò perché l'uomo, pensandolo, contribuisce alla sua concreta manifestazione, in un processo che non rappresenta forse l'errore (la cattiva interpretazione) ma la stessa dinamica segreta dell'esperienza, che vede la creatura compartecipe del processo di creazione della sua stessa realtà. Tanto che in fisica stanno iniziando a prendere piede alcune teorie che vedono l'informazione come dato primo e irriducibile "dell'esistente"; termine quanto mai ambiguo, in questa nuova percezione. Ciò che è concepibile e concepito è comunque sempre qualcosa, non potendo di necessità essere niente, se non al prezzo di svuotare di significato e consistenza l'intero castello di carte del ragionamento; e qui molto si deve all'intuizione originaria di Parmenide, che vede nel pensiero una dimensione "consistente". La Creazione andrebbe a questo punto riformulata quale processo dialettico e inconcluso, come per altro ben intuito dalla straordinaria finezza teologica dell'Islam.
Ma per alleggerire un poco questo pensierino, copio di seguito una mia vecchia poesia sul tema. Dove un bambino impegnato a scuola in un esercizio di associazione linguistica, per un errore fonetico - una elle al posto di una erre - spalanca nel mondo l'incolmabile abisso del male. Sì, a volte basta davvero una farfallina che sbatte le ali, il minuscolo errore di un bimbo, perché il male possa dilagare nuovamente tra noi...

Vitamine

Vitamine ai bambini malati. Ai bambini.
A chi vuole entrare con il piccolo passo
del tuffatore, sul trampolino, prima
di precipitare nel calmo abisso
accogliente – vitamine!
Vitamina A, B, C, D, E, F… con figure
di cartone si imparava così l’alfabeto
nel calduccio di mattine già affilate
dai temperini, ancora chiusi negli astucci:
P: una paperella per la P.
D: una damigiana per la D.
C: un cucciolotto di per la C
(quella aspra però, come il limone per la L).
Ma al momento della M di mare
sempre una gran confusione
tra la F di fiume e la S di stagno;
tanto che qualcuno, un compagno, lo disse:
"IL MALE".

Poi ci caricarono in massa su un carrozzone
enorme e ci inondarono di raggi con la X,
per smascherare, dissero, il vizio che dorme
giù giù fin nei polmoni e la gola e il cuore
e ai più fragilini
prescrissero alte dosi di vitamine;
ma per lo iodio con la I, vacanze al mare.

9 commenti:

  1. non so a quale orientale ti riferisci, ma, in sintesi, sembra che tu sia un uomo di giusto e sbagliato.Tre etti di prosciutto.
    Giovanni Santerre

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  2. non è questione di giusto o sbagliato, ma di ordine del discorso. nel discorso occidentale la cosa di cui parlo si chiama "teodicea", e a questo termine si fa riferire il problema della "giustificazione" del male dentro le premesse, cristiane, di un dio onnipotente e misericordioso. in oriente, dove le premesse sono invece diverse, il problema rimane il medesimo: cos'è il male, il dolore, la sofferenza; ma soprattutto: come uscirne? il buddhismo - ecco a quale oriente mi riferisco, per farti un solo esempio - non è dunque una religione in senso proprio, ma qualcosa che si avvicina più a una teodicea empirica: come superare l'esperienza del dolore, fottere il male che ne è la naturale premessa cognitiva. personalmente io trovo che l'esportazione del buddhismo in occidente abbia causato più abbagli che buoni risultati. ad esempio la convinzione - infantile, è il caso di dirlo - che all'esperienza della liberazione dal male si possa accedere attraverso la semplice sospensione del dualismo categoriale del pensiero critico-analitico (giusto\sbagliato), è il frutto di pigrizia intellettuale e cattiva informazione. ma se si vuole ragionare dentro le categorie critiche analitiche, presenti anche, e robustamente, dentro la tradizione buddhista, si deve provvisoriamente deporre i tre etti di prosciutto di sarcasmo. altrimenti saremmo ancora - anzi, siamo - dentro quel buddhismo pret-a-porter. più simile in effetti all'effetto di una canna, che non all'epochè mistica dell'illuminato...

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  3. Ottimo esercizio dialettico, come sempre.
    Il male c'è eccome.
    ...oppure non c'è niente, il chè è impossibile se non c'è o c'è stato qualcosa.

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  4. "sospensione del dualismo categoriale" è questo l'errore dialettico.Non si tratta di sospensione...In tre etti di prosciutto non c'è un filo di sarcasmo (e nemmeno di grasso)
    Santerre

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  5. divido in due parti la risposta a giovanni santerre, per limiti informatici di spazio. parte 1:

    allora, provo a spiegarmi meglio. con “dualismo categoriale”, in genere, viene inteso l'atteggiamento e la pratica di quel pensiero che consente di discriminare tra le cose, le quali si offrono ai sensi attraverso l'esperienza della differenza. differenza che trova dunque nella discriminazione e, quindi, nella nominazione, il suo correlativo in forma cognitiva. non è infatti possibile un discorso senza discriminazione, ma soprattutto senza parole. nella cultura occidentale è con i greci - in particolare con aristotele - che si afferma un atteggiamento d'indagine fondato sul "dualismo categoriale"; che diviene in seguito la premessa anche della ricerca scientifica, da galileo e bacone in poi. la ricerca scientifica, come noto, non si occupa però delle "cose ultime", ma unicamente di quelle "penultime". tanto che anche la teologia occidentale, dopo il trionfo nell'approccio scolastico, si è progressivamente distanziata da un atteggiamento rigidamente logico e categoriale, raggiungendo a volte esiti di puro ribaltamento anti-logico, come nell'apofatismo. ma veniamo finalmente all'oriente. esiste una consistente vulgata che pure crede sufficiente rivoltare come un calzino la tradizione logica dell'occidente (fondata appunto, e come abbiamo visto in breve, sul dualismo categoriale) per raggiungere immediatamente vette di squisita saggezza e divina comprensione. ad esempio sarebbe sufficiente liquidare termini come "giusto" e "sbagliato", liquidare tout court lo sforzo del pensiero discriminante. a cui viene sostituito l'accogliente e onnivoro nirvana della pigrizia intellettuale; quando non sia, e più realisticamente, direttamente il qualunquismo da bottega, il "signora mia non ce sta più er prosciutto de na volta..." non dico, attenzione, che sia questo il pensiero e la cultura di giovanni santerre, che qui mi scrive utilizzando uno pseudonimo. ma la semplice e idiosincratica evidenza di quel che dice fanno collocare le sue parole dentro quella consistente corrente del pensiero contemporaneo, che può forse essere così riassunta: "signora mia, nun ce stanno più li guru de na volta..."

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  6. parte 2, risposta a giovanni santerre:

    “...li guru de na volta”, si diceva. e infatti, almeno in questo, tocca convenire: non c'è e non è mai esistito questo oriente mitico da prosciutteria del corso... quando, al contrario, all'interno della cultura indiana, e anche buddhista, esiste una tradizione logica di robustissima consistenza. i giovani monaci trascorrono molti anni nell'esercitare tali facoltà mentali, che anche in quella cultura muovono da uno sguardo inizialmente discriminatorio (categoriale), per poi indirizzarsi verso le sottigliezze del paradosso o di logiche post-aristoteliche; come per altro, abbiamo visto, avviene anche nella teologia occidentale. a conferma di quanto dico, basta verificare il continuo sforzo di chiarificazione intellettuale che trapunta la biografia dell'attuale dalai lama. il quale è proprio nel dialogo con la scienza - e con le forme proprie del suo logos - che ha trovato uno dei punti fermi del suo ricchissimo insegnamento. ma è in quella particolare declinazione del buddhismo costituita dallo zen, che è dilagato in occidente il più completo fraintendimento. diciamolo chiaro: lo zen, al netto della squisitezza metaforica, narrativa e perfino sensuale dei suoi apologhi bonsai, basa il suo potere di seduzione sulla "presa per il culo". una "presa per il culo" che abbiamo incorniciato dentro robuste virgolette, già che ha l'effetto - tutt'altro che fraudolento e goliardico - di scuotere il pensiero dalle certezze consolidate, l'ossidazione dei neuroni. quindi di muovere l'allievo verso il cammino di una ricerca autentica, che sempre origina dalla messa in mora di ciò che appare come certo e risaputo, come è innanzitutto l'esperienza sensibile, il "velo di maya" che copre l'apparenza dal luminare del vero. ma bisogna ricordare che quella via spirituale, il cui aspetto empirico esorbita la nozione occidentale di teologia, pur non liquidandola, prevede una rigida separazione gerarchica tra allievo e docente, una comunicazione che non è mai didascalica ma comunque obliqua (ciò che unidirezionalmente passa nella pedagogia zen non sono i contenuti, ma la forza maiutica della domanda). bene, allora vorrei ricordare ai lettori di questo sito che io non sono allievo di alcuna scuola zen, e che pur rispettando ed essendo profondamente affascinato da tale altissima via dello spirito e del corpo, non posso ammettere quel tipo di pratica interlocutoria, improntato alla gerarchia pedagogica e a saperi taciti ed oracolari ("a prescindere", direbbe totò). per la stessa ragione mi dissocio dalla pratica discorsiva di giovanni santerre, fermo restando la gradita ospitalità per le sue parole, di cui è percepibile la buona fede. il quale santerre prima liquida sbrigativamente il mio ragionamento come fondato sulle categorie duali di giustizia ed errore. ma successivamente reintegra la figura dell'errore a proprio beneficio - "è questo l'errore" - continuando per altro a non argomentare le proprie affermazioni di giudizio, attraverso un procedimento che nella logica occidentale viene chiamato di "falsa apodissi". ecco, su fontana con soldino questa pratica linguistica paradossale non viene considerata come finemente esotica e spirituale, ma come semplicemente sbagliata. rimane naturalmente la simpatia per l'amico giovanni santerre, che saluto e a cui auguro una buona domenica.

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  7. (ps - un grazie anche Montse. che non ho ben inteso se avesse un'intenzione critica od oppositiva, rispetto a quanto scritto da me, ma che nella sua breve sintesi mi sembra comunque confermato, o comunque compatibile.)

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  8. Due mondi a confronto: La fine ed acuta dialettica affabulatoria di Hauser e l'essenzialità sintetica e pregnante di Santerre. Credo che il problema di comunicazione tra i due mondi stia nei riferimenti e nelle nascoste citazioni dell'uno e dell'altro (nascoste all'uno e all'altro).Nessuno scontro. I binari sono diversi
    Sebastiano Bini

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  9. ho capito sebastiano, un colpo al cerchio un colpo alla botte... ;-)

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