venerdì 4 febbraio 2011

Madame Bovary, una cover postmoderna


Lui dice: “No no, non è lo stesso, è diverso. Con le altre scopo, ma con te faccio l'amore”.
Lei dice: “L'amore, capisci: l'AMORE?”
“L'amore”, dico io. “Puoi spiegarmelo meglio?”
Lei dice: “L'amore, sì, a me non importa mica nulla che uno mi sbatta sopra a un letto, un cuscino Ikea sotto la pancia. Piuttosto che ci sia, lì presente, ho bisogno di sentirlo. Sentire la presenza del mio uomo fuori e dentro di me...”
Lui dice: “Starò via una settimana con i miei compagni di rugby, ci risentiamo quando torno”.
Lei dice: “Per me un caffè d'orzo con una punta di latte caldo. Lo zucchero di canna, mi raccomando!”
La cameriera annuisce, ma prima di ripartire con l'ordinazione aggiunge: “Abbiamo anche del miele d'acacia in bustina, se desidera.”
Dopo aver scostato dal tavolino circolare l'allegato di un importante quotidiano, rimasto aperto alla notizia shock del matrimonio tra due vip famosissimi, che ovviamente non conosco, posando la rivista su una sedia dico io: “La differenza tra amore e scopare è dunque un fatto di presenza, umm...”
Lei dice: “Sì, quando stiamo insieme lui c'è, è presente, ne sono certa. Ma poi, quando torna a casa e dai suoi figli - e io lo so che sta invece con le altre, con me le bugie hanno davvero le gambe corte - non risponde nemmeno agli sms. Come fosse un'altra persona, un agente segreto in missione speciale.”
“Avevo dimenticato il telefono nel cassettino della Jeep, dai, non fare così... Gattina" dice lui, "lo sai che per me esisti solamente tu.”
“Un decaffeinato corretto grappa. Anzi, la grappa a parte" dico io.
Lei dice: “Rifatti vivo solo quando sarai finalmente capace di una scelta da maschio con le palle, altro che gattina e gattina. O me o loro, gli ho detto proprio così. Però io ci sarò sempre, se lui decide di cambiare. Nel fondo io lo sento che è un uomo sensibile e dolce.”
La cameriera, già di spalle, si volta come se avesse dimenticato qualcosa di fondamentale. Ricorda il tenente Colombo quando si gira attraversato da un dubbio residuo, ed è il dettaglio che inchioda definitivamente l'assassino alla sua colpa: “Morbida o dura, la grappa? Vuole provare un'acquavite di mosto d'uva, incontra molto in questo periodo...”
Io dico: “Scusa, puoi ripetere. Ero rimasto alla differenza tra scopare e fare l'amore. E in che modo un maschio mostra di avere, come tu le chiami, le palle?”
Lei dice: “Io con lui faccio all'amore, sì, in questo devo dargli ragione. Sono una persona molto fisica, ho bisogno di toccare ed essere toccata. Ma solo se avverto che c'è anche del sentimento. E un uomo con le palle è quello che sa tenere insieme forza e sentimento.”
“Se ho capito bene” dico io, “questo sentimento di cui parli è allora una specie di presenza dilazionata nel tempo, la forza della durata. Come quando pigi il pedale del pianoforte per prolungare la nota.”
Senza darlo a vedere, riprendo quindi l'allegato settimanale e lo apro alle immagini del matrimonio esclusivo tra questi due celebri vip - si abbracciano su una gondola a Las Vegas, sembrano felici - concentrandomi su dove posso averli già visti, sentito parlare di loro... No, decisamente non li conosco.
"Ecco, bravo, il pianoforte, la nota. Ma con lui questi discorsi non posso farli. Non è uno come te, di testa. Per questo mi è piaciuto dal primo momento in cui mi ha abbordato per strada: ci sentiamo a un livello molto più vero, più profondo. Usiamo il linguaggio paraverbale.”
Il linguaggio paraverbale, 'sti cazzi! Ma non lo dico. E dico invece: “In altre parole tu non pensi di andare a letto con lui perché è giovane e bello e di colore, alto quasi due metri, sportivo. Un gran figo, insomma. Ma perché è sensibile e dolce. E ciò significa che state facendo l'amore, quando questa sensibilità e dolcezza si traducono in continuità di presenza. Altrimenti sarebbe solo e volgarmente scopare.”
Lui dice: “E' diverso. Con le altre scopo, gattina, con te faccio l'amore.”
“Sì, questo l'hai già detto”, lo interrompo io. “L'ho pure piazzato quale incipit del racconto, non preoccuparti, puoi verificare tu stesso. Vedrai che ne uscirai alla grande, non temere. Stai già facendo un figurone.”
Richiudo nuovamente e con calma la rivista: porca miseria, ma come è possibile che non li conosca?!
Uno entra nel bar facendo tintinnare il portaombrelli per la fretta, è trafelato e pallido. Sotto il giaccone indossa una tunica porpora che gli arriva fino ai piedi, i capelli radi raccolti in un codino. Come se avesse ripassato la frase a memoria molte volte, ma fosse preso dalla smania di liberarsene, appena superata la porta in vetro esclama: “Posso-appendere-il-manifesto-per-un-corso-di-meditazione-bio-trans-energetica-globale?”
“Guarda che adesso non sono più innamorata di lui!”, dice lei.
Io sussurro con un filo di voce: “Ma come cavolo la tiro avanti questa storia? Forse dovrei uccidere qualcuno... dovrei strozzarla e infilarla nella macchina che rimesta la cioccolata calda... farla avvelenare come Emma Bovary...”
Di nuovo lei: “Prego?”
Io: “Niente.”
La titolare del bar, da dietro il bancone e con una voce stridula e alta: “No no, non vedi che a questo modo mi copri il programma del corso di pasticceria celtica, organizzato su un battello in crociera sul delta del Po. Appendi pure, ma più sotto.”
Io pago, intanto.
Lei dice, ma dopo, con un tono distratto e frettoloso: “Perché hai pagato tu, potevamo fare alla romana, con il mio lavoro di psicologa guadagno bene?”
Siamo in strada. Io, almeno. Lei probabilmente è già evaporata dal nostro testo, insieme al fantasma di lui che si è aggirato attorno al tavolino per tutta la durata della conversazione. Così mi rivolgo al primo che passa sul marciapiede – uno studente di architettura con i capelli rossi e una fascia di lana alla fronte in stile Ingemar Stenmark: mi guarda come un bracco italiano allo schioccare di un suono sconosciuto, inclinando di lato la testa e aggrottando le enormi orecchie pendule – e gli confido:
“Probabilmente gli uomini raccontano a se stessi un mucchio di fesserie – delle vere e proprie balle, ok - ma solo per la durata di quella cosa lì, di cui sono come turisti, eterni e attoniti visitatori. E sono una manciata di minuti appena, lui forse un po' di più, in cui sono fuori dal perimetro narrativo della loro storia, oscillando tra una retorica femminile e la brutale codificazione della pornografia. Non sei d'accordo?
Stenmark continua a fissarmi con il capo obliquo incorniciato dal paraorecchie blu, come se non avessi terminato la mia incursione e mancasse ancora il secondo atto. I compagni di corso, nel frattempo, si sono fermati anche loro. Ma non sembrano sorpresi. Lo aspettano all'angolo rollandosi una sigaretta con le cartine, la condensa del fiato anticipa lo sbuffo di nicotina nell'aria gelida.
E allora proseguo: “E' solo dopo, o prima, quando tornano a essere allineati - prima e dopo aver fatto sesso, sì, intendo - che gli uomini iniziano a mentire agli altri ma a riconoscersi nello specchio, su cui si arrampicano con le loro ingannevoli cazzate. Mentre le donne, certe donne, lo hai visto anche tu, almeno nella gestualità erotica sono sincere, completamente dentro il loro romanzo. Avendo tutto il tempo successivo, una vita intera, per raccontarsi e quindi credere alle mistificazioni di una favola maschile. Che le vede brave madri e mogli zelanti e devote, amanti pazienti. Buone per fare l'amore ma - per carità - guai a scopare!”
Dopo una breve pausa in cui continua a fissarmi con perplessità, incredibile, ma Stenmark mi risponde: “Vuoi dire che gli uomini trombano come in un film porno o seguendo le istruzioni dei Baci Perugina?!"
"Beh, sì, è più o meno ciò che intendevo... Forse perché mancano di un linguaggio proprio per l'intimità, le emozioni del corpo."
"E vuoi dire anche", continua Stenmark, "che le donne fanno invece tutto il resto dentro una sceneggiatura maschile?"
Annuisco con soddisfazione.
"Interessante..."
"Così anche quando mentono", riprende lui grattandosi la fascetta in corrispondenza della tempia, "le donne lo farebbero in conto terzi, per compiacerci, per dare nuovo inchiostro a una storia scritta da altri e per altri... Hai mica da accendere?”
“Assolutamente, è proprio quello che mi è venuto in mente parlando con Miss Sensibilità & Dolcezza. Ma è tutta cattiva letteratura: fra Liala e Rocco Siffredi e l'Isola dei Famosi, ecco dove ci ha condotto il trenino della modernità”, gli faccio eco mentre mi avvicino alla sua sigaretta con le dita nude, da cui spunta la scintilla della fantasia. “Nella più completa e definitiva falsificazione non tanto di quel che siamo, che non conosceremo mai per intero, se non al prezzo di smarrirci definitivamente, ma di una buona e autentica narrazione che accompagni i nostri giorni: plasmandoli in forma e bellezza, significato. Ma soprattutto assegnandogli un indirizzo, come una cartolina dal mare che si è perduta."
"Allora quello che ci manca è un postino!", ribatte lui.
"Un postino, giusto", interviene a sorpresa Jacques Lacan. Che proviene dalla direzione opposta e sta camminando senza fretta, l'esercito schierato dei capelli tali e quali alle fotografie degli anni sessanta, bianchi e fieri e fitti come crociati. "Ma come possiamo spedire qualcosa che non esiste a qualcuno altrettanto in debito di realtà: La femme n'existe pas, ricordi quel che insegnavo ai miei seminari?”
Stenmark assume l'espressione di chi sta per abbandonare un quiz televisivo perché non conosce la risposta, ma io gli do un leggero colpetto di gomito tra le costole, come dire non facciamoci riconoscere, ed entrambi facciamo sì sì con la testa.
“Se non che”, continua Lacan carezzandosi il ciuffo con la solennità di un cavaliere che si sistemi la visiera prima dell'attacco, “anche il maschio contemporaneo oramai n'existe pas. Da quando ho preso in giro tutti con quel gioco di parole sull'inesistenza della femmina – non sai come si sono incazzate le femministe... - il maschio occidentale è progressivamente dileguato, diventando il surrogato del vecchio spot di una marca di profumo: l'uomo che sa creare un sorriso e parlare col gli occhi comunicare col viso; o come direbbero le psicologhe che pronunciano invano il mio nome, con il linguaggio paraverbale.”
Ma alla terza ripetizione del termine paraverbale, anche la storia più robusta frana, si sfalda in chiacchiericcio da allegato di celebre quotidiano con celebri vip che, giuro, ma con tutta la buona volontà davvero non ho la minima idea di chi fossero. E così ora spariscono i vip ma – puff, puff – pure Lacan e Stenmark. Di cui rimane solo la fascetta distesa sul marciapiede come un cadavere ancora caldo, la decisiva prova di colpevolezza ricercata dal tenente Colombo.
Non avendo così più nessuno con cui parlare, nessun personaggio a cui riversare addosso i miei dubbi e pensieri, resto solo in una periferia italiana come tutte le altre, che in questo preciso momento mi sembra perfino e per la prima volta bellissima.
Solo con il mio respiro, che spingo fino alle estreme cavità dei polmoni, gonfiandoli di tutte le polveri sottili di questa città di parole e lampioni gialli, rotoli di kebab, centri fotocopie, passeri ingrigiti appollaiati sopra ai cavi sfrigolanti del filobus, mentre architetti con le toppe sulle maniche della giacca di velluto stanno lavorando nei loro loft con assistenti bionde e allampanate, che li chiamano per nome di battesimo, lavorando per reinventare un involucro a tutto ciò, come se volessero togliermi anche queste residue e minime certezze letterarie.
E così io respiro respiro respiro... Infine tossisco.

3 commenti:

  1. Sono molto interessanti le riflessioni che fai in questo bel racconto. Questo rapporto sesso-amore a me viene ora di esprimerlo molto banalmente così: Un uomo chiede alla sua donna -che tra l'altro è anche una brava cuoca-di prepararli quel piatto delizioso a base di carne e verdure che tanto piace a lui. Ora lei potrebbe sentirsela o meno di farlo. Mettiamo che lei abbia voglia di cucinare. Le motivazioni di questa scelta possono essere tra le più varie: perché è una buona idea- ha fame anche lei, perché ammira e rispetta il suo uomo ed è ben contenta di fare qualsiasi cosa per lui o insieme a lui, perché teme o sa che se non lo accontenta lui, appena avrà voglia, andrà a mangiare nella trattoria situata al angolo della strada, perché accontentandolo le sarà poi più facile chiedergli di comprarle quel bel paio di scarpe che tanto desiderava...
    A lui, invece, può andar bene lo stesso anche la pasta al forno avanzata dal giorno prima se lei non se la sente di cucinare- tanto l'incanto sta nel averla lì vicino e raccontarsi piacevolmente eventi e sensazioni di quella giornata; oppure manda giù la pasta pensando che la prossima volta quando avrà fame farà meglio fermarsi a mangiare da qualche altra parte dove i suoi desideri sono presi in considerazione...
    Io credo che le eccitazioni del nostro corpo dipendono in gran parte dalle emozioni della nostra mente, e la mente- che tiene conto delle nostre motivazioni- fa i nostri interessi, escogita pensieri, azioni e parole vere o false che fanno il nostro gioco. Dipende a che gioco ci piace giocare.

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  2. Anam, ti confesso che ho fatto un po' fatica a seguire il bandolo dell'esempio allegorico che tu mi proponi. ad esempio, la conclusione, mi sono accorto, potrebbe funzionare ugualmente anche ribaltata di prospettiva. e cioè: "le emozioni della nostra mente dipendono in gran parte dalle eccitazioni del nostro corpo". come vedi non se ne esce, è un circolo virtuoso che, ancora a seconda del punto di vista con cui lo osserviamo, può tranquillamente trasformarsi in vizioso. la mia intenzione nello scrivere questo testo, più che alla contrapposizione tra amore e sesso, era comunque indirizzata a quella sottile triangolazione che si stabilisce tra amore, sesso ma soprattutto identità. e il riferimento a madame bovary era dunque nella direzione di un sospetto: che i miti cine-televisivi del moderno abbiano reso la nostra vita perfino più inautentica, emulativa, di quanto già non fosse quella di emma bovary. ma se un concetto astratto come quello di "autenticità", in un'epoca di postmodernismi filosofici e decostruzioni ermeneutiche, non è forse più riprsentabile, io mi limiterei ad auspicare una mediazione letteraria di maggiore bellezza e complessità. così per affidarmi narrativamente a queste considerazioni - che in effetti sono più sociologiche e filosofiche, o in altre parole "saggistiche" - ho provato a rispolverare ironicamente l'antico contenitore del dialogo platonico. ma non sono certo di esser riuscito del tutto nel mio intento, ti dico molto onestamente... (grazie per la tua vigile attenzione, Anam)

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  3. http://www.abbraccidiluce.it/index.php?link=64&Upper=1&module=

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