venerdì 11 febbraio 2011

Decantazione


Quando penso al futuro di questo paese, mi torna in mente un mio caro amico sommelier. Gli ho domandato una volta come stava la figlia di otto anni, malata di influenza, la sera prima. Lui aveva preferito raggiungerla e non unirsi a noi per un piatto di risotto con pesce persico al burro e salvia, in un ristorante sul lago dove per arrivare si deve prendere un ascensore tutto foderato di specchi, che gli ascensori senza porte e con gli specchi a me fan venire la claustrofobia (così così, tra parentesi, il risotto).
"Oggi sta abbastanza bene", mi ha poi risposto il mio caro amico sommelier. "La febbre le è passata. Però ho preferito lasciarla ancora a casa da scuola per farla decantare. Ma com'era il risotto, che gli ascensori con gli specchi non piacciono tanto nemmeno a me?"
(Decantare, tra parentesi. Ha usato proprio questa parola: decantare...)
"Hai presente" ho detto allora al mio caro amico sommelier, "hai presente quando ti sembra che il tuo piano non arrivi mai e guardi in terra per non incrociare lo sguardo di chi hai di fronte, mentre anche lui guarda in terra per non incrociare il tuo, di sguardo, i numerini che si accendono a intermittenza sulla pulsantiera, e alla fine guardate la stessa cosa ma non lo saprete mai?"
No, in realtà ho detto solo: "Così così", il risotto.
Ma avrei forse dovuto dirglielo, dell'ascensore. E anche del viaggio, degli specchi, del futuro di questo paese. E del fatto che prima o poi finiremo per dimenticarci di tutto questo, di alzare lo sguardo anche un solo istante per controllare a che piano è arrivata la discesa. Avrei dovuto dirlo al mio caro amico sommelier. Prima di accomodarci dentro una confortevole e distratta e tiepida e infinita convalescenza. Pardon: decantazione!"

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