giovedì 24 febbraio 2011

Guy Ernest Debord e la caccia al fagiano, un contributo


(In via del tutto discrezionale, e sperando con ciò di non fargli torto, espungo il messaggio di Guy Ernest Debord dallo spazio dei commenti del mio precedente post, pubblicandolo qui con la meritata evidenza di un testo autonomo. La ragione della mia scelta risulterà chiara alla lettura della sua analisi e dalla precisione del linguaggio con cui è svolta. Le conclusioni a cui lui approda si distanziano però – ma questo solo da un certo punto in poi, come lo sdoppiarsi del lago di Como nei due rami – da quelle a cui sono giunto io; e ciò anche grazie al contributo del suo bell'intervento. A cui aggiungo una personale chiosa riflessiva posta in calce, oltre questa breve premessa che ha la funzione di benvenuto. In tal modo, e forse proprio in virtù di tale biforcazione di pensiero tra di noi, la sagoma miniaturizzata del lago lombardo potrebbe essere interpretata anche come la figura stilizzata di una fionda. Con cui rilanciare, indefinitamente, il nostro pensiero contro la convinzione occhiuta di tutti i semafori: dove il rosso è rosso e il verde è verde; quanto all'arancione, ognuno la veda a modo suo. Già che Facebook davvero somiglia a un semaforo lampeggiante. E ciascuno, secondo responsabilità, può decidere se entrarci o aspettare il prossimo giro... gh)


Caro Guido, devo confessarti che anch'io malvolentieri, vedendo i tuoi interventi sulla mia bacheca di Facebook, gli ho prestato particolare attenzione; se non alcune volte distrattamente e sovrappensiero. Questa è la prima volta che ne leggo uno per intero, e dunque anche la prima che ne commento una.
Io temo che la comunicazione su Facebook sia essenzialmente un riflesso naturale della nostra epoca post-industriale spettacolarizzata, ossia che si basi in sostanza sulla mera comunicazione fine a se stessa e che abolisca l'importanza di ogni suo contenuto.
"A cosa stai pensando?" recita il credo di Facebook, come quello di Twitter o di qualsivoglia Social Network, che si basa sulla pura constatazione di "esserci" e tralascia tutte le considerazioni su "in che modo?","come?", "perché?".
Vorrei quindi riflettere anche sullo status degli "amici" su Facebook: io credo che essi non svolgano, appunto, la stessa funzione che hanno nella vita reale, ma non sono altro che un indice di diffusione; cioè, ho 258 amici, ecco il grado di diffusione del mio messaggio. Il "mi piace" non è altro che la conferma del successo comunicativo, ed è, a mio parere, più importante del "commento", perché è afono, privo di significato,(non esiste un "non mi piace", e giustamente), dunque paralizza il dialogo ed è solo un indice statistico.
In secondo luogo mi soffermerei sul fatto che Facebook ti impone di esprimere "Cosa stai PENSANDO", dunque non di scrivere, ma esattamente di comunicare il tuo pensiero che non è Letteratura, nel senso più alto del termine, ma un bisogno, una necessità umana, assimilabile a quella di mangiare, dormire, ecc. ecc...
Facebook si pone come uno spazio mentale, ecco, forse tutta la rete ha questa dimensione psichica, ove la Parola si spoglia del suo significato pieno, polisemico, per diventare comunicazione allo stato puro, dei lampi che attraversano il cervello senza lasciare traccia.
E quindi è logico pensare che gli amici su Facebook condividano con te uno spazio sovra-reale, ben più reale della vita, perché è uno spazio intimo, psicologico. Nella vita reale siamo costretti ad essere narrativi quando parliamo, quando dialoghiamo:"Stamattina mi sono alzato, ho mangiato, ..." anzi direi che l'intera tradizione occidentale comunicativa si fonda sulla narratività, sulla progressione orizzontale. Scrivere invece su Facebook "Sto mangiando" non è più narrativo, è un indice, una fotografia, del vissuto: lo status falso, simbolico, del significante sparisce per diventare quasi solo significato (dico quasi perché impossibile operare quest'annullamento completamente.)
Si potrebbe obiettare: ma nella vita, se un amico mi dice "Sto mangiando" nel momento in cui addenta un panino, non è la stessa cosa? La differenza consiste, secondo me, che in quella occasione vi è una separazione netta tra chi pronuncia l'affermazione e chi la riceve.
Se SCRIVIAMO su Facebook "Sto mangiando" la separazione viene annebbiata perché si ricalibra su un piano puramente psichico, anche noi partecipiamo inconsciamente al mangiare, mentalmente mangiamo anche noi. Lo SCRIVERE ha un'importanza fondamentale: ci si poteva immaginare nel futuro un Video-telefono, ma ci si potevano immaginare gli SMS, che hanno un'importanza ben più rilevante nella nostra epoca?
Concludendo: Facebook non è LETTERATURA, e tutto ciò che ne è affine è bandito da esso.
Forse è per questo che Sara ha bandito te da Facebook, perché non comunicavi nel modo appropriato.

il tuo amico su Facebook
Guy Ernest Debord


Caro Guy,
bene, ho seguito il tuo ragionamento con la mia gondola lariana senza sforzo eccessivo, e anzi con piacere. Il lago era calmo e la giornata tiepida e quasi primaverile. Così la tua rotta mi è stata di grande utilità, aiutandomi a mettere a fuoco pensieri che erano come mulinelli impazziti. Ti ho seguito solo fino a un certo punto, però. Poi i nostri tratti di navigazione si sono separati. E questo è avvenuto nella biforcazione a cui già accennavo nella premessa, con i miei remi hanno virato nel momento in cui tu affermi:

“...logico pensare che gli amici su Facebook condividano con te uno spazio sovra-reale, ben più reale della vita, perché è uno spazio intimo, psicologico”.

Ecco, è in questo preciso punto che sorge la mia obiezione. La tua argomentazione contiene infatti un elemento implicito – o se preferiamo “apodittico” – che così potrebbe essere riassunto: la sovra-realtà psichica, per il solo fatto di essere psichica, è anche reale, addirittura più reale della vita, come tu aggiungi.

Per me la determinazione della nozione di realtà scaturisce invece da qualcosa come una triangolazione: in prima istanza uno stimolo che genera la risposta psichica; in seconda battuta la stessa risposta, o percezione; ma in ultimo è necessaria anche la presenza di una soggettività estrinseca, con cui confrontare l'esperienza e poterla dunque battezzare come "realtà".

Senza viceversa una sintesi cognitiva delle percezioni singolari – e parlo appunto al plurale, perché sono necessari almeno due soggetti o osservatori consapevoli – trovo che sia alquanto dubbio l'utilizzo di tale termine. Realtà.

Ma a questo punto tu potresti obiettarmi che l'attribuzione dello statuto di realtà, che andiamo a determinare nel modo da me proposto, si avvicina in modo impressionante a quello di cultura, finendo quasi col sovrapporsi con esso. Esattamente, è quanto io penso. Con l'unica differenza che il reale prevede sempre anche la presenza di uno stimolo esterno, per non dilagare definitivamente nel fantastico.

Ciò che tu chiami la "realtà psichica" di Facebook, io lo chiamo dunque “fantastico realizzato”. Dove ciò che dilaga senza più alcuna diga culturale è l'elemento
impressivo, e cioè l'impressione non più verificata – e verificabile – dentro la triangolazione dell'esperienza.
Mi rendo conto che il discorso si fa ora un poco tortuoso, e mi viene così da semplificarlo con un esempio. Se due cacciatori hanno un'impressione, leggermente differente tra di loro, su quale sia il cespuglio dove si annida un magnifico fagiano, sarà la deflagrazione pirica della cartuccia a determinare la consistenza del reale: chi dei due tornerà dal proprio cespuglio con il fagiano orgogliosamente innalzato dentro il pugno, avrà ragione sull'impressione dell'altro.

Ma con ciò avrà contribuito anche alla determinazione della realtà di quella caccia. La caccia che avviene dentro Facebook, al contrario, è una caccia unicamente "impressiva". Dove ci sono migliaia di cespugli ma nessun effettivo fagiano. E puoi capire, a questo punto, che diventa piuttosto difficoltoso parlare di realtà, quando manchi la verifica empirica alla propria sovrabbondante impressione.

Il processo di triangolazione che sta alla base della determinazione di una realtà, per quanto ampiamente culturale, come già visto, nel mio testo io l'ho chiamato
elaborazione. Intendendo con ciò il gesto del pensiero che non si sottragga alla verifica del fagiano, e che anzi cerchi con energia e costanza di stanarlo.

Detto ciò, sono perfettamente d'accordo con te quando concludi che “Facebook non è LETTERATURA, e tutto ciò che ne è affine è bandito da esso.” Sono d'accordo proprio perché la letteratura, anche quando si dichiari fantastica, non rimane effettivamente mai al solo dato “impressivo”.

Al contrario la letteratura ricerca nessi che non sono empirici, d'accordo, ma sono però
drammaturgici, ossia forniti di consistenza all'interno del dominio del possibile. E ciò nello sforzo di cogliere non tanto il fagiano, nella sua concreta e fisica immediatezza, quanto piuttosto le ragioni stesse per cui Tizio Caio e Pinco Pallino (ma chiamiamoli pure anche Tizio e Pinco Schützen) si trovano in quel momento dentro un bosco, vestiti come scemi e con uno schioppo a tracolla. E tutto questo nell'aleatoria speranza di acciuffare uno stramaledetto uccelletto, che non si trova nemmeno a fargli cucu con le dita a trombetta sul naso...

Quando invece, senza tutto quello sforzo, il pagamento della licenza annuale di caccia, la vaccinazione ai Setter, il costo delle armi e delle munizioni, potrebbero tranquillamente andare in un ristorante e mangiarlo già bello che cotto e servito e con le salsine, quel cavolo di fagiano. Che, tra l'altro, sarebbe sicuramente molto più buono di come lo potrebbero cucinare le loro mogli: Tizia e Pinca
Schützen.

Intendo dire: le motivazioni che sottendono le azioni (svegliarsi la mattina per andare a caccia) hanno nessi non necessariamente logici e causali (uccido per mangiare); ma nemmeno ricalcano l'impressione fugace del momento, il fantasma del presente (ho un improvviso languorino allo stomaco, il dito mi prude sul grilletto). Potremmo ipotizzare qualcosa come una trama carsica che unisce i fatti attraverso rapporti analogici non arbitrari ma nemmeno necessitati (la fame che si lega alla violenza che si lega alla forza che si lega alla virilità che si lega al potere che si lega all'alzarsi presto la mattina) e che a un certo punto sgorga all'evidenza con l'impeto dirompente di un gaiser (il colpo di fucile che abbatte il fagiano).

Una storia è questa cosa qui, caro Guy Ernest Debord. E una storia ha bisogno di emozione e impressione, che sono gli elementi delle spettacolare dispiegato, come tu ci insegni. Ma una storia ha bisogno anche di tempo, relazione, consapevolezza e infine espressione. Che sono invece parte costitutiva della prassi
narrativa, ma anche gli stessi sapidi ingredienti di una vita.

Tanto che il nome di quel ristorante in cui Tizio e Pinco potrebbero andare per gustare il loro fagiano arrosto, forse è proprio Letteratura.
Con un menu che non rientra, al contrario del fanta-mondo di Facebook, nella dieta dimagrante dell'impressione, della sensazione svincolata dall'esperienza, la tautologia che ricalca il momento psichico prima che esso possa strutturarsi in pensiero, al netto di una temporalità storica che è condizione di scelte intenzionate. Perché la letteratura, al contrario, ricerca consapevolmente il lato non manifesto ma consistente del reale, non solo la sua dimensione spettacolare ed ipnotica. E' dunque questo il piatto della casa, la specialità cucinata dalla letteratura. Non una fenomenologia ma una “noumenologia pre-causale”, potremmo forse dire...

con simpatia,
guido hauser

1 commento:

  1. Ma so dientàda ol zimbèl de FB a me insapùta?
    Ma brào! Sét almeno 'sa foi adès le dét?

    SS
    (inquietàncc? pòta!)

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