venerdì 25 febbraio 2011

Girello, o sulla differenza tra dirigere e fotografare


Io ho un amico che ha lavorato alla direzione fotografica dei film di un famoso regista cattolico. "Altro che Gesù, l'amore cristiano e la solidarietà contadina e tutte quelle balle lì", mi dice il mio amico parlando di questo famoso regista per telefono. "Con suo figlio, che è mio collega, si è comportato come un vero e patentato stronzo!"
Poi mi dice tante altre cose, la pallina della conversazione saltella dentro il flipper del momento, l'estro del caso. Fino a che, senza alcun logico preavviso, il mio amico esclama: "Che carino che carino!"
Io penso immediatamente che si stia riferendo al contenuto del mio discorso, visto che in quella fase sono io a parlargli con trasporto, chissà più di cosa. Però non mi sembra che quel che stavo dicendo fosse poi così "carino"...
E però lui insiste, anche nella mia pausa lambiccata, continuando a ripetere "...che carino, proprio carino, un amore!"
Allora mi viene il dubbio che si stia riferendo a me, e che il mio amico sia diventato omosessuale all'improvviso. "Beh, dai, anche tu non sei poi malaccio..." rispondo dunque imbarazzato e per non generare ulteriore imbarazzo. "Sì, insomma: proprio un bell'ometto!"
Ma lui, del tutto indifferente a quel che gli sto dicendo, prosegue imperterrito nel suo soliloquio di vezzeggiativi: "Carino, che carino, con quelle gambette..."
Solo a quel punto - che scemo! - mi accorgo che non sta parlando di me e della nostra conversazione, a cui già da prima era evidentemente poco interessato. A ben vedere non sta nemmeno parlando "a" me, non mi ascolta più, è entrato in un suo mondo parallelo e del tutto impermeabile all'esterno. Un mondo in cui almanacca tra sé e sé del suo primogenito avuto di recente, che davanti alla postazione telefonica sta cercando muovere i primi passi con l'aiuto di un girello.
Quindi lo osserva, incantato, come Michelangelo di fronte al manifestarsi imperioso del David da un massiccio blocco di marmo, con lo scalpello che ancora gli penzola sfinito tra le mani.
Mi viene allora da immaginarmi Federico Fellini al telefono con il famoso regista cattolico, Fellini che gli rivela la sua intenzione di girare un film sulla crisi di un altro regista, suo alter ego. Un film sull'impossibilità a realizzare quel film. Che sarebbe il nono della sua produzione ma resta sempre inconcluso, come sospeso in sogno, arenato a metà. "Potrei, ecco, sì, potrei chiamarlo Otto e mezzo..." aggiunge Fellini con la sua vocina astratta e sorniona.
Ma il famoso regista cattolico, invece di starlo ad ascoltare, per tutto il tempo ha ripetuto "che carino che carino che carino", ipnotizzato dal figlio che zampetta dentro a un enorme girello. Ma più che un semplice girello, nella mia immaginazione, diventa una giostra, un'arena, la pista circense in cui Mastroianni dirige il festoso girotondo con i fantasmi di una vita intera, nella scena finale di Otto e mezzo.
Mmm... no, è poco credibile vero?
Il famoso regista cattolico, con il figlio naturale, si comportava infatti come uno stronzo; uno stronzo "patentato", addirittura. Almeno stando a quanto sostiene il mio amico fotografo e padre orgoglioso e assorto. Tanto che mi viene ora da pensare che la differenza tra fotografare, semplicemente, la propria e altrui esistenza in un estatico clic, e invece provare a dirigerla dentro la complessità del reale, sia gratta gratta proprio questa qui: distogliere per un momento lo sguardo dall'angusto girello che fa da muraglia ai confini famigliari, e muovere i passi incerti dei nostri fantasmi all'esterno di noi...
(A costo di guadagnare la patente di stronzi, certe volte, perché no.)

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