mercoledì 12 dicembre 2018

Tanti amici nessun amico, o sulla nascita e il declino di un sentimento

Il termine amico, con cui vengono indicati i contatti su Facebook, può essere oggetto di qualche ironia, specie tra le persone linguisticamente più consapevoli e accorte. Di certo è un’iperbole vagamente comica, non voglio negarlo. Ma trovo che al fondo nasconda un’intuizione sulla natura del nostro tempo.
Seguendo il pensiero di Umberto Curi, acuto filosofo padovano che sull’argomento ha pubblicato diversi volumi, l’amicizia nasce in Occidente avendo quale sfondo la guerra, polemos, che già per Eraclito era padre di tutte le cose. In particolare, nelle città stato situate a meridione della penisola balcanica, è l’assenza di un esercito mercenario, come nel diverso caso dell'impero persiano, a dare impulso alla formazione di un nuovo sentimento. Quello appunto dell’amicizia. 
L’amico, dalla radice latina amicus, amor, comune all’afflato amoroso che in Grecia prendeva il nome di philia, era dunque colui a cui era affidata la vita del guerriero, in battaglia come nei momenti di riposo in cui vegliava sul suo sonno. In altre parole, amico era il commilitone in regime di coscrizione tra semplici cittadini, con il quale anche al termine del conflitto rimaneva un vincolo speciale, come tra Alcibiade e Socrate che lo salvò nella battaglia di Potidea 
Se ne ricava che l’amico è chi sta dalla tua parte, interamente dalla tua parte, anche se siete entrambi nel torto. O per dirla con Totò, l’amicizia è una sorta di “a prescindere”, dove il vincolo morale da politico diviene soggettivo.
Ora a me pare che questa corrispondenza totalizzante, nelle società tardo industriali sia divenuta difficile, se non impossibile. Abbiamo infatti gli amici con cui ci si gioca a calcetto il mercoledì sera; gli amici del corso di ballo latinoamericano; gli amici con i quali andare a cinema e a teatro e ai concerti; gli amici di infanzia; gli amici tra le diciannove e le venti, venti e trenta massimo, a spartirsi le olivette insieme allo spritz; gli amici della sgambata domenicale, anche nella variante ciclistica; gli amici degli amici fino ad arrivare ai compagni di merenda.
Una società frammentata in sottoinsiemi funzionali, presenta insomma anche sottoinsiemi amicali, che sono a loro volta funzioni del contesto mobile di appartenenza. Tradotto in parole più semplici, quando arriva mercoledì, partita di calcetto, già l’abbiamo visto. Ed eccolo l’amico che si sbraccia, smarcato, davanti alla porta avversaria. Zac, una bella verticalizzazione alla Totti e lui infila al volo di destro. Poi corre verso di me – che gli ho servito l’assist, che sono suo amico – per abbracciarmi. E anche io l’abbraccio. Abbiamo fatto goal. Siamo amici!
Ma appena l’arbitro fischia la fine della partita, è già tanto se gli allungo il Badedas sotto la doccia. E pagamento alla romana, si intende, quando poi passiamo da Pasquale per la solita pizza e birra, ci scappa ogni tanto anche un limoncello. Beh, ciao, ci vediamo mercoledì prossimo. E fino a quel giorno non ci vedremo né sentiremo davvero più, avendo ciascuno altri amici, tutti a spettro ugualmente limitato.
Ma a qualcuno di questi amici, ci penso seriamente, pensateci anche voi, affiderei (affidereste) la mia (la vostra) vita, come faceva Alcibiade con Socrate o Patroclo con Achille…?
Arriverei a sospettare che la disperazione di Achille per la perdita dell’amico più caro – Patroclo, Paaatroclo! – più che alla sua mancanza faccia specchio al senso di colpa, generato dal dubbio di non avere fatto abbastanza per evitarne l’uccisione. Avrebbe dovuto proteggerlo, sì, avrebbe potuto mettersi tra lui e la lancia di Ettore, come una leonessa con i suoi i cuccioli. Invece ha fallito, e per questo si strugge.
Una delle possibili chiavi di lettura della storia degli ultimi decenni, è così il progressivo affievolirsi dei vincoli di responsabilità nell’amicizia, fino all’attuale scenario che vede lo scioglimento di ogni legame esclusivo. Un rompete le fila, ecco, un 8 settembre dell'amicizia. Da lì in poi ciascuno penserà solo a salvare la pelle, la propria pelle. Non quella dell’amico.
Se le cose stanno come credo e come in fondo pensava un altro celebre studioso, Zygmunt Bauman, mi sembra allora coerente che i contatti su Facebook vengano chiamati amici, per quanto siano dei semplici compagni di svago. Ci giochetto un po’, distribuisco qualche like, e poi stacco la spina, la connessione, il traffico dati. Non sarebbe fantastico, se potessimo fare lo stesso anche nella vita?
Eppure è già così, è proprio quello che accade nella maggior parte delle nostre relazioni, comprese quelle amorose. Compagni di svago, di piacere, di godimento o di jouissance, per dirla con Lacan che per primo intuì la crisi dell’ordine simbolico occidentale, di cui quello dei sentimenti è in fondo un semplice riflesso.
L’amicizia su Facebook diviene così l’emblema nominale di un’intera epoca; e noi che pensavamo fosse solo la sbadataggine di qualche programmatore informatico, certamente incline a spararla grossa. Invece si tratta di un genio! A mostrarci come durata e affidamento esclusivo siano ormai inutili orpelli, appartenenti a epoche remote e polverose. In cui non esisteva il deodorante, tra parentesi, e sai che puzza a Maratona
Ora invece le amicizie non hanno odore, solo numero. Non c’è più l’amico ma gli amici, più sono meglio è, il sistema ti consente di arrivare fino a 5000. E il bello è che non devi vegliare il loro sonno, se crepano neppure vieni a saperlo, e comunque non saresti potuto andare al loro funerale, perché avevi la partita di calcetto.

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