lunedì 10 dicembre 2018

I would prefer not to, una storiella personale

Una volta, tanti anni fa, più o meno venti credo, avrei dovuto pubblicare un libro di poesie. La casa editrice già c'era, e non in quella forma miserella dell'auto finanziamento; per quanto anche Proust, inizialmente, dovette metter mano al portafogli.
Valerio Magrelli si era inoltre reso disponibile per la prefazione, dopo avere letto alcuni estratti che gli erano piaciuti, o almeno così mi disse. Inutile aggiungere che ero molto orgoglioso della cosa.
Ricordo che erano i primi tempi in cui si usavano le mail. E mi ricordo anche, molto bene di questo, che una mattina di buon ora (me lo ricordo perché la mattina presto non mi alzo quasi mai) avevo inviato una mail a Magrelli, dicendogli che quella prefazione non serviva più.
Gli avrò scritto prima grazie Valerio, grazie comunque e scusa, quelle frasi che si dicono in queste circostanze, ma il libro di poesie non si fa. E’ deciso. Punto.
Magrelli, che è persona di assoluta gentilezza e disponibilità, avrà sorriso leggendo. Quindi impiegato il tempo destinato alla mia prefazione per attività più interessanti. Tipo giocare a pallanuoto, di cui fu anche nazionale. 
Ma cosa era successo nel frattempo?
La sera prima e fino a notte inoltrata, avevo riletto tutti componimenti che avrebbero dovuto essere inclusi nella silloge, ma l’orgoglio che mi gonfiava alla maniera di un tacchino, la coda a ventaglio, mi si era afflosciato all'improvviso, come lo stesso tacchino arrivato alla vigilia del Thanksgiving day.
Semplicemente, avevo compreso di non essere un poeta. Non uno bravo intendo.
Ecco, volevo raccontare solo questa piccola storia privata, che forse privata del tutto non lo è. Perché l’orgoglio venuto e andato tanto rapidamente – il mio capo cinto d’alloro, le presentazioni in libreria, perfino gli autografi, no, si chiamano dediche, e poi di nuovo la fronte nuda e già vagamente stempiata – mi torna adesso nel ripensare a quella scelta.
Sì, è stata una delle poche cose di cui sono davvero orgoglioso. Aver saputo riconoscere e delimitare i confini della mia ambizione, dopo aver soppesato a lungo la manciata di talenti avuti in dote. Per poi pronunciare anch’io, come lo scrivano Bartleby, il mio “I would prefer not to".

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