martedì 14 giugno 2016

Caro Lucilio ti scrivo, così mi distraggo un po', o sulla morale al tempo di Scherzi a parte



“Dobbiamo indirizzare la nostra stima verso un uomo onesto e averlo sempre davanti agli occhi per vivere come se lui ci guardasse”, scrive Lucio Anneo Seneca in una delle sue celebri epistole indirizzate all’allievo Lucilio, concludendo che si deve poi “agire come se (quell’uomo onesto) ci vedesse." 

In due sole righe il grande pensatore stoico sembra liquidare una volta per tutte uno dei principali problemi filosofici: la morale, ossia come comportarci nelle diverse circostanze della vita. Basta avere in mente la figura di un uomo onesto, coltivare la sua immagine dentro di noi, quindi confrontare le azioni da noi messe in atto con quelle che (immaginiamo) sarebbero state del modello che ci siamo dati. Se esiste convergenza, l’azione sarà giusta, retta, per l'appunto morale. Diversamente, dobbiamo cercare di correggerci. Semplice, no?

E invece non è semplice affatto! La soluzione di Seneca, a guardar bene, più che saggia è infatti molto astuta, come nel carattere dell’uomo. Un modo logico di procedere che a me ricorda quelli che cercano di spiegarti, magari dopo due o tre Campari e con un sopracciglio alzato, che l’umanità è stata creata dagli extraterrestri, ma non lo sai che ci hanno creato gli extraterrestri, dai, lo scrive anche la Bibbia, gli extraterrestri, sì. Concludendo la frase con una sonora pacca sulla spalla, come deve aver fatto Seneca con quello zuccone di Lucilio. 

Già, gli extraterrestri. Ma chi li ha creati gli extraterrestri? ti verrebbe voglia di replicare a quei conoscenti so-tutto-io; se non che non li trovi più, perché sono già andati al bancone a ordinare il quarto Campari.

Non riesci così mai a controbattere – ma tanto non ti avrebbero ascoltato – che l’eventuale zampino degli extraterrestri sposta semplicemente a un livello superiore il problema (ontologico) della creazione, non lo risolve. Allo stesso modo, il riferimento a un uomo onesto sposta di un livello il problema dell’onestà, o più in generale della morale. Quell’uomo onesto che noi dovremmo imitare, dove l’ha presa, dico, l’immagine dell’onestà?

E senza l'immagine, o se preferiamo un fondamento concettuale dell'onestà, la sua forma astratta e condivisibile, in quale modo comportarci…? Come si vede, siam da capo. 

Anzi, non da capo, se facciamo ancora il confronto con Seneca e la sua epoca, siamo questa volta precipitati a un livello inferiore, uno se non molti gradini più in basso nella infinita gradinata del tempo. Nel primo secolo esisteva se non altro l’idea, l’aspirazione all’onestà intesa come sintesi attiva e virtuosa del comportamento umano, ora neppure quella. Tocca concludere, mestamente, che tutto quel parlare di morale e saggezza degli antichi era solo un castello di sabbia, il gioco di un bambino che nel giro di pochi secoli, uno starnuto di Shiva, opplà, e la marea montante della modernità se l'è portato via.

Eppure non è completamente vero che l’onda consuma lo scoglio e dopo resta solamente spiaggia, deserto. Anche la nostra epoca ha infatti saputo costruire, se non proprio dei castelli, almeno delle forme, meglio delle formine in cui la sabbia che spiove dalla clessidra prenda l'immagine di una stella, un orsetto, insomma dei modelli stabili di comportamento riconosciuti dai più, a cui quegli stessi più possono ora riferirsi con soddisfazione; mentre gli altri, i “meno”, con rassegnazione. 

Certo, oggi non si tratta di saggezza, onestà, bellezza del gesto che basta a se stesso, rendendosi esemplare come avviene nel rito, che del mito è mimesi e ad un tempo sostanza, ma di visibilità sociale, potere economico, riflettori accessi sul calciatore che esce abbronzato dal tunnel degli spogliatoi, o sul giovane trepidante concorrente del talent show, che fa le corna in direzione della telecamera come ha visto fare a J-Ax. In ogni caso, è anche questo l’abbozzo di una struttura morale, ossia un modello generale, per quanto semplificato, a cui il comportamento del singolo può, anzi deve tendere per ottenere il riconoscimento del gruppo. 

Se dunque Seneca fosse nato ai nostri giorni, avrebbe probabilmente lasciato al suo pupillo un diverso testamento filosofico. Possiamo immaginare qualcosa del genere: 

Dobbiamo indirizzare la nostra stima verso un uomo di successo, con il collo della polo alzato e la zip abbassata, il suv parcheggiato sulle strisce, un uomo che fa e non dice. Un uomo che non perde i capelli ma anche se li perdesse tanto li trapianta, un uomo che incanta, avvince, stravince. Un uomo o una donna o un transgender, poco importa, se non che suoni al suo passaggio il campanello di Porta a Porta. Un uomo non come quegli omini gracili e studiosi, quelli, lo vedi, tanto non ci finiscono mai sull'Isola dei Famosi. Un uomo deciso che stia davanti agli occhi come un tatuaggio tribale, per vivere come se lui ci guardasse, per vivere nello specchio di Narciso. Un uomo che sia i suoi addominali, il suo 740, il suo sorriso. In altre parole, caro Lucilio, devi agire sempre, ma proprio sempre e sarà questa la tua Grande Arte, agire come se fossi in un'eterna puntata di Scherzi a parte.


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