Ieri notte, insieme al mio amico Ivan, sono stato in
discoteca. Era molto tempo che non andavo in discoteca. All’ingresso, siamo
rimasti un bel po' ad attendere che la cassiera si facesse viva. Quando è tornata,
vedendo entrambi con la camicia fuori dai pantaloni e le maniche arrotolate – facevano trenta gradi –,
ci ha chiesto quali fossero gli indumenti da depositare in guardaroba. No, non abbiamo altro, dobbiamo solo pagare il biglietto. Quant’è?
Ma non c’è biglietto! ha ribattuto lei sorpresa.
Poi ci ha spiegato, con lenta e pacata pedanteria, come fossimo due anziani a
cui chiarire come si annoda il pannolone, che da alcuni anni non si paga più l'ingresso. E non solo in quella
discoteca, sono ormai molti i locali in cui si può entrare gratuitamente. Nessun biglietto, accomodatevi pure.
Se gradite, aggiunge la cassiera mentre ci stiamo avviando, e approfittando della nuova prospettiva per scansionarci dall’alto verso il basso, potete poi prendere
qualcosa al banco. Non è comunque obbligatorio, qui non ci sono obblighi. Siete
liberi di andare e venire quando vi pare. Sono finiti gli anni ottanta,
conclude lei con un sorrisetto malizioso.
Gli anni ottanta, già. Io appartengo a una generazione
che, appunto negli anni ottanta, è passata dai lampioni dell’oratorio alle luci
stroboscopiche della discoteca, una generazione abituata a pagare per andare in qualsiasi luogo. Oltretutto, senza smartphone, pagavi, entravi, non ci
trovavi i tuoi amici e diecimila lire erano belle che andate.
Ora invece è tutto più semplice, easy. Nessuna
dogana a sbarrare il cammino, solo flusso che non va fermato, il movimento deve essere continuo, liquido, spontaneo. Ma non solo quello del divertimento, mi viene da sospettare. Sono
frequenti le volte in cui, parlando con persone con i piedi a mollo in questo tempo (quindi non necessariamente più giovani di me, ma in maggior
sintonia con il presente), ho la medesima impressione. Il loro pensiero segue
un corso inarrestabile e immediato, non prevede soglie d'attesa, verifiche
della conoscenza esibita, transenne concettuali. Entrano e escono dalle cose, tutto
qui.
Se si allarga l'inquadratura, ci accorgiamo che il
successo del movimento Cinque Stelle è fondato su simili premesse. Il comune cittadino,
sulla scorta di un nesso puramente intenzionale, rifiuta la mediazione di una
casta di (presunti) sapienti, assumendo che l’unico sapere sia quello della
volontà personale. Come a dire che anche in politica non si deve più pagare il
biglietto.
La vecchia politica prevedeva invece uno scambio
simbolico, che così può essere riassunto: io ti do il mio voto e tu mi dai le tue
competenze, che altrimenti mi mancherebbero. Oppure, più in generale, ciò che veniva barattato erano il tempo e la fatica, per ottenere sapere. Ma anche e soprattutto piacere. Termini, allora, usati spesso come sinonimi.
Esisteva comunque sempre una lieve dilazione, un biglietto con un costo e un guardiano della soglia a verificarne l'autenticità, prima di essere ammessi nel luogo magico del desiderio, tra le lenzuola della principessa addormentata.
Macché, ti ribatterebbe la bionda e tatuata cassiera
del Porto29: il piacere non viene dalla fatica, Eros non è figlio della povertà
(Penia) e dell’espediente (Poros), come voleva quell’ingenuo di Platone. Il
piacere è padre e figlio di se stesso, e orfano di qualsiasi dovere.
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