sabato 25 giugno 2016

Biglietto, prego, o sul piacere senza la fatica



Ieri notte, insieme al mio amico Ivan, sono stato in discoteca. Era molto tempo che non andavo in discoteca. All’ingresso, siamo rimasti un bel po' ad attendere che la cassiera si facesse viva. Quando è tornata, vedendo entrambi con la camicia fuori dai pantaloni e le maniche arrotolate – facevano trenta gradi –, ci ha chiesto quali fossero gli indumenti da depositare in guardaroba. No, non abbiamo altro, dobbiamo solo pagare il biglietto. Quant’è?

Ma non c’è biglietto! ha ribattuto lei sorpresa. Poi ci ha spiegato, con lenta e pacata pedanteria, come fossimo due anziani a cui chiarire come si annoda il pannolone, che da alcuni anni non si paga più l'ingresso. E non solo in quella discoteca, sono ormai molti i locali in cui si può entrare gratuitamente. Nessun biglietto, accomodatevi pure.

Se gradite, aggiunge la cassiera mentre ci stiamo avviando, e approfittando della nuova prospettiva per scansionarci dall’alto verso il basso, potete poi prendere qualcosa al banco. Non è comunque obbligatorio, qui non ci sono obblighi. Siete liberi di andare e venire quando vi pare. Sono finiti gli anni ottanta, conclude lei con un sorrisetto malizioso.

Gli anni ottanta, già. Io appartengo a una generazione che, appunto negli anni ottanta, è passata dai lampioni dell’oratorio alle luci stroboscopiche della discoteca, una generazione abituata a pagare per andare in qualsiasi luogo. Oltretutto, senza smartphone, pagavi, entravi, non ci trovavi i tuoi amici e diecimila lire erano belle che andate.

Ora invece è tutto più semplice, easy. Nessuna dogana a sbarrare il cammino, solo flusso che non va fermato, il movimento deve essere continuo, liquido, spontaneo. Ma non solo quello del divertimento, mi viene da sospettare. Sono frequenti le volte in cui, parlando con persone con i piedi a mollo in questo tempo (quindi non necessariamente più giovani di me, ma in maggior sintonia con il presente), ho la medesima impressione. Il loro pensiero segue un corso inarrestabile e immediato, non prevede soglie d'attesa, verifiche della conoscenza esibita, transenne concettuali. Entrano e escono dalle cose, tutto qui.

Se si allarga l'inquadratura, ci accorgiamo che il successo del movimento Cinque Stelle è fondato su simili premesse. Il comune cittadino, sulla scorta di un nesso puramente intenzionale, rifiuta la mediazione di una casta di (presunti) sapienti, assumendo che l’unico sapere sia quello della volontà personale. Come a dire che anche in politica non si deve più pagare il biglietto.

La vecchia politica prevedeva invece uno scambio simbolico, che così può essere riassunto: io ti do il mio voto e tu mi dai le tue competenze, che altrimenti mi mancherebbero. Oppure, più in generale, ciò che veniva barattato erano il tempo e la fatica, per ottenere sapere. Ma anche e soprattutto piacere. Termini, allora, usati spesso come sinonimi.

Esisteva comunque sempre una lieve dilazione, un biglietto con un costo e un guardiano della soglia a verificarne l'autenticità, prima di essere ammessi nel luogo magico del desiderio, tra le lenzuola della principessa addormentata.

Macché, ti ribatterebbe la bionda e tatuata cassiera del Porto29: il piacere non viene dalla fatica, Eros non è figlio della povertà (Penia) e dell’espediente (Poros), come voleva quell’ingenuo di Platone. Il piacere è padre e figlio di se stesso, e orfano di qualsiasi dovere.

Bando allora alle lunghe maratone per raggiungere una méta, la bellezza come sforzo, idea che deve prima passare dalle mani, per condurre al termine del percorso a una conoscenza più ricca e articolata del mondo. Roba vecchia! Piaceri piccoli e immediati, piuttosto, vogliuzze quotidiane, l’ingresso libero a tutte le ore. Dimenticavo, aggiungo io, possono entrare anche i cani?

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