giovedì 16 agosto 2012

I poeti sono bravi. Ma poi?


Il problema degli aspiranti poeti, è che spesso sono bravi. No, non si tratta di una battuta: vi invito a ricercare su internet una qualsiasi pagina appartenente a un poeta, magari non ancora famoso e pieno di buona volontà. Il livello medio ora si è alzato di molto. E’ difficile trovare ancora quei versi ingenui e suggestivi, dove fiore rimava con amore in quella che per Saba è la più antica rima del mondo, la più difficile. L’idea stessa di assonanza sonora tra le desinenze, o di unità metrica, è entrata in crisi da svariati decenni. La bravura attuale a cui ci siamo riferiti non corrisponde dunque al concetto di perizia, di virtuoso artigianato che celebra un modello preesistente, come fu per molti secoli il petrarchismo. Piuttosto a un tratto di esibita originalità, dove l'imperativo diventa quello di non corrispondere a niente e soprattutto a nessuno, in una sorta di mitologia contemporanea dell’inaudito, l'enigma lambiccato e bizzarro con cui soffondere la scena. Ma al contrario dello spirito avanguardistico (il Dada, ad esempio), la deviazione dalle rotte già tracciate ha in prevalenza perduto l'aspetto ludico, istrionicamente dissacratorio. I poeti che si sporgono sul proscenio di internet, insomma, si prendono molto sul serio, e con uguale accigliata compunzione maneggiano la lingua. Bisogna però riconoscere che il linguaggio si è inizialmente avvantaggiato dalla diramazione solitaria delle rotte poetiche, che testimoniano di una disposizione psichica refrattaria alle leggi del branco, al conformismo più ossequioso. Ma la polverizzazione di modelli acquisti e condivisi ha reso, per paradosso, la stessa eresia conforme, costituendo la regola e non più l'eccezione. In ogni caso, si tratta di uno slancio lirico con cui non è possibile “farci nulla”: non socialmente, per l’assenza perseguita di ogni residuo di esemplarità morale; non esteticamente, già che anche in questo caso la molteplicità dei registri, data dall'unico precetto all'irregolarità sintattica, sfugge a ogni tentativo di canonizzazione formale. Rimane dunque il grido del poeta, the howl, come in Allen Ginsberg, che ti butta addosso tutta la sua irriducibile diversità. Ma una volta che tu sia disposto ad assecondare questa richiesta – se vogliamo, si tratta di una ratificazione dell’eccentrico – che cosa rimane? Fatta salva la bontà delle intenzioni, ciò che vedi è un tuo simile che fa di tutto per non assomigliarti, per sfuggirti anche empaticamente, declinando ogni relazione transitiva, ogni polis linguistica. In pratica, è come se ti intimasse: "Non cercare di seguirmi, non legarti a me!" E noi lo accontentiamo volentieri, sottraendoci a quel legame arcaico che si chiama lettura.

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