lunedì 27 giugno 2011

Peppo Parolo


Tra la fine degli anni sessanta e la metà dei settanta mia madre frequentava una profumeria sondriese di nome Parolo, che è anche il nome della via in cui sono nato e cresciuto, al numero 10. La profumeria Parolo invece si trovava - e si trova ancora, ma con una diversa gestione - al termine della galleria Campello, dove fino a pochi anni fa era rimasto un cavallo a gettone bianco. La vernice negli ultimi tempi si era scrostata e la coda rotta; qualcuno aveva scritto Furia su un fianco dell'animale, con un pennarello nero. Mia madre, al termine della sfilata delle vetrine, passava dunque davanti a Furia, prima di girare a destra ed entrare nell'atrio lungo e stretto della profumeria Parolo, che lei frequentava ma non come una semplice cliente. Era infatti amica dell'anziano proprietario: credo si chiamasse Peppo ed era un uomo basso e curvo e con gli occhiali spessi, i capelli soffici, bianchi, la voce roca. Una volta raccontò di come suo padre fosse stato ucciso dai fascisti picchiandolo ripetutamente con sacchetti di tela riempiti di sabbia. Per non lasciare segni sul corpo, concluse.

Io accompagnavo spesso mia madre nelle sue visite a Peppo Parolo, mi piaceva l'odore, anche se dopo un po' mi annoiavo. Come ricompensa alla mia pazienza avevo diritto a un giro in groppa a Furia, ma quella volta lì ero già troppo grande; avrò avuto sei o sette anni e aspettavo la primavera per l'arrivo degli autoscontri, la coda di Provolino da afferrare per vincere una nuova corsa. Appena rientrati a casa ricordo comunque che glielo domandai: "Chi sono i fascisti, mamma?" Lei me lo spiegò con parole circospette, per non turbarmi più di quanto già non fossi, ma anche chiare. I fascisti sono uomini a cui non piace la libertà degli altri uomini, solamente la loro. Poi aggiunse che la via in cui abitavamo si chiamava Parolo in ricordo del padre di Peppo, ucciso dai fascisti senza lasciare alcuna traccia, come si fa con le foche per non rovinare la pelliccia. Questo dettaglio della pelliccia delle foche però la mamma non l'aveva detto, solo alcuni anni dopo, guardando un documentario in televisione, Ambrogio Fogar aveva spiegato la crudele tecnica con cui vengono cacciate, e mentre parlava gli eran venuti gli occhi lucidi e un tono molto arrabbiato della voce. Io avevo pensato al padre di Peppo Parolo e ai sacchetti di tela dei fascisti.

Al termine delle visite Peppo Parolo ci regalava sempre dei campioncini di profumo: femminili e dolci per mia madre e altri più speziati anche per me, che in alcuni casi mi facevano starnutire. Io me li versavo subito addosso, anche sei o sette tipi diversi in una sola volta, e quando uscivo dal negozio lasciavo un alone odoroso al mio passaggio, come un barone siciliano dopo la toilette. Un baronetto che starnutisce. Il profumo che mi piaceva di più, tra quelli che avevo scoperto insieme ai fascisti, si chiamava Eau de Bruyere ed era contenuto in una bottiglietta verde, con un voluminoso tappo color senape. Anche a mio padre, a cui mia madre aveva dato il dopobarba, sempre Eau de Bruyere, era piaciuta molto questa marca di profumo, che da quel giorno aveva iniziato a utilizzare d'abitudine. Io non sono stato particolarmente precoce e direi che, con regolarità, ho iniziato a radermi solamente all'inizio delle scuole superiori, facendo seguire il tutto con una bella spruzzata di Eau de Bruyere.

Negli anni successivi a mia madre era presa questa mania di farmi delle sciarpe - a tinta unica, mélange e soprattutto con larghe fasce di colore, come le bandiere degli stati -, e così durante un capodanno in montagna avevo prestato al mio amico Federico una sciarpa in cui si ripetevano il bianco, rosso e blu della bandiera francese, perché tremava tutto dal freddo con addosso solo un trench crema in stile tenente Colombo. Dopo alcuni giorni Federico era venuto a casa mia, in via Parolo 10, a riportarmi la sciarpa francese, ma prima di andar via mi aveva chiesto se potevo dirgli qual'era la marca del mio dopobarba. Il fatto, come dire... aveva continuato Federico un po' imbarazzato, è che la sua fidanzata aveva annusato la mia sciarpa e le era piaciuto molto il profumo di cui erano ancora intrise le maglie, e così ora voleva regalarglielo.

A questo punto, ricapitolando, eravamo io, mio padre, Federico e anche il fratello della fidanzata di Federico, che si chiama Mariagrazia, ad avere lo stesso odore, già che lei aveva deciso di acquistare due confezioni di Eau de Bruyere: una per il fratello e una per il fidanzato. Poi sono successe delle cose e tra le cose che son successe io ho smesso di cospargermi il viso di Eau de Bruyere, forse perché una fidanzata mi aveva regalato un dopobarba di una marca differente. Nemmeno Federico si mette più Eau de Bruyere, essendo morto, a ventun anni, in un incidente automobilistico al ritorno da una discoteca. La stessa sera e la stessa discoteca dove una ragazza mi aveva fermato per dirmi che avevo dei capelli bellissimi, e pure un buon profumo. Anche io avrei dovuto rientrare con la Ford Fiesta rossa dei genitori di Federico - a malapena si riconosceva la forma dai rottami, il giorno dopo - ma la ragazza che mi annusava è andata via presto e allora mi sono fatto dare un passaggio da un certo Piero Nela. Un tipo esuberante di cui tutti dicevano sempre il cognome insieme al nome, mai solo Piero o solo Nela, sempre Piero Nela, un po' come Peppo Parolo. Mio padre ora utilizza un dopobarba che trovo eccessivamente speziato - mi fa starnutire - e quanto al fratello di Mariagrazia: chi lo vede più...

Nel frattempo Mariagrazia si è rifidanzata, quindi sposata. Adesso vive in Svizzera e ha un marito di tredici anni più giovane e una figlia di sei o sette. La figlia l'ho vista una sola volta appena nata, ma conosco il marito che è alto, forte e bello come un dio greco, in testa milioni di capelli nerissimi. Quando immancabilmente qualcuno - in genere sono altre donne - le parla del marito, Mariagrazia scuote un po' la testa come a dire ma tu guarda che cazzata che ho fatto, tredici anni, quando io ne avrò settantacinque lui avrà l'attuale età di Richard Gere... Ma intanto si vede che non farebbe cambio con nessuno di noi che abbiamo quasi vent'anni meno di Richard Gere, e però le ragazze non ci fermano più per complimentarsi dei nostri capelli, del buon odore che scivola fuori dalle nostre sciarpe. La vita, come si dice.

E nella vita va a finire che un giorno mi trovo a parlare proprio con Peter, il marito di Mariagrazia. Non so però bene cosa dirgli - a lui piacciono molto le Alfa Romeo, ma io non conosco i modelli attuali -, apparteniamo insomma a spicchi diversi di mondo, generazioni. E' lui allora a chiedermi come era essere giovani ai nostri tempi - "ai nostri tempi", ha usato proprio questa espressione. Però sento che in una conversazione fatta di niente, luoghi comuni e sorrisi di circostanza, si apre una breccia, come una finestra. E dalla finestra un odore, anzi un profumo: Eau de Bruyere! Mariagrazia deve avere regalato una bottiglietta verde anche al marito, con il tappo senape, ho controllato su Internet e non è cambiato nulla, tutto come "ai nostri tempi". Ed è col naso che riesco così a sintonizzarmi finalmente su di lui, per offrirgli la risposta che forse cercava.

Come era essere giovani ai nostri tempi?

Come a tutti tempi, come una giovane foca che si struscia morbida sul pack, come Federico - il suo trench crema da tenente Colombo - che torna a casa allegro e profumato da una discoteca di provincia e come il padre di Peppo Parolo, quando non era ancora il padre di Peppo Parolo e gridava abbasso il Duce! Magari lo scriveva anche sui muri del cimitero, insieme a viva la libertà: non per un uomo solo ma per tutti gli uomini; e questo, in fondo, non c'era nemmeno bisogno di aggiungerlo. E però, ai nostri tempi, i sacchetti di tela erano stati sostituiti con quelli in plastica con la scritta rossa dei supermarket, e alcune fotomodelle si facevano fotografare nude per protesta contro la moda delle pellicce, quando tra le due cose non ho mai capito che relazione ci fosse...

No, non funziona vero? E' che mi son fatto un po' prendere la mano, ma stava tutto dentro la mia testa. Intanto Peter era ancora lì ad aspettare la sua risposta: con gli occhi spalancati, l'espressione di un bambino che ti lascia copiare dal suo foglio, se solo glielo chiedi. Ma adesso era lui a chiedere qualcosa a me, e così dovevo pur inventarmi una storia, una storia del genere:

Ai nostri tempi ci stava un cavallo bianco, ecco cosa ho detto per davvero a Peter, un cavallo su cui qualcuno aveva scritto Furia con un pennarello nero, ed era la nostra idea di libertà: non per un bambino solo ma per tutti i bambini; e questo, in principio, non c'era nemmeno bisogno di aggiungerlo: un bambino già lo sa, che i bambini sono tutti uguali. Furia stava proprio di fronte a una profumeria che si chiamava Parolo, da cui sgusciava fuori una miscela vaporosa di essenze, combinate secondo l'estro dei giorni. Tu ci balzavi in groppa e la mamma - in mano i sacchetti gonfi del supermarket, i capelli lunghi raccolti nella crocchia dello chignon - ti aspettava avvolta da quella nuvola odorosa, come un'aureola olfattiva. E se gli odori avessero una bandiera quella era una bandiera tutta d'oro, non ce ne sono mica altre. Oro purissimo!

Poi gli ho chiesto se conosceva la marca del suo dopobarba ma lui mi ha detto che no, non la sapeva: "Me l'ha regalato mia moglie, ma se ti interessa mi informo..." Quindi ha scrollato le spalle con un sorriso largo e tranquillo, come uno che riprenda a vedere un vecchio film in tivù dopo l'interruzione degli spot.

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