venerdì 17 giugno 2011

Mattoni, o sulla differenza tra un architetto e uno scimpanzé


Io penso, ma poi magari mi sbaglio, io penso che la differenza tra un architetto è uno scimpanzé è che l'architetto è un signore con una giacca di velluto, le bretelle e tanti capelli sulla testa, che quando gli cascano dentro agli occhi li deve spostare con la mano. Se incontra un cumulo di mattoni con una tettoia sopra, l'architetto, poi, fa una cosa stranissima. Toglie tutti i mattoni - un mattone oggi, un mattone domani ma prima la tettoia - e con quel materiale ci costruisce una cosa nuova: più strana, complicata e alle volte anche più bella. Ecco, io penso, ma poi magari mi sbaglio anch'io, che allora un architetto è bravo se riesce a smantellare l'ovvio, per fabbricare il nuovo. Mentre uno scimpanzé, ma è solo quello che penso io, è un animale senza giacca, senza bretelle e con tanti capelli dappertutto, che ogni tanto si prende qualcosa dai capelli e se la infila in bocca. Quando poi lo scimpanzé incontra la bella e nuova e complicata costruzione dell'architetto, la smonta, la fa letteralmente a pezzi, fino a che ritorna un cumulo di mattoni con una tettoia sopra. Ma prima, lo scimpanzé, non l'architetto, prende ogni singolo mattone tra le mani e se lo rigira un po'. Quindi lo passa a un altro scimpanzé ed è come se gli dicesse: “guarda”. Non guarda questa cosa che ho fatto io, ma guarda e basta. E così quello che penso, e chi se ne importa se sbaglio, è che lo scrittore non è un architetto ma è uno scimpanzé, anche se non ha tanti capelli addosso e nemmeno sulla testa. E però, come lo scimpanzé, lo scrittore, smantella il nuovo non per ricostruirlo più bello e strano e complicato, ma per mostrare l'ovvio che sta sotto. E per dire infine a tutti gli altri: guarda...

3 commenti:

  1. Stupisci, come sempre, guido hauser.
    Non so da cosa è nata la tua riflessione e perchè. Ma sembrerebbe dire: mattone=parola.
    Lo scrittore usa la parola, il verbo, per se stesso e non per tentare ardite costruzioni, magari estetiche. Per la parola-mattone in sè, da far girare fra le mani o nel cervello, per "vederla" "gustarla" "osservarla".
    Indipendentemente dalla costruzione, dove- la parola- va comunque collocata secondo un certo senso e ordine logico-consequenziale se non si vuol avere solo caos e non-senso. Altrimenti non c'è testo.
    Dipende. Dagli "esercizi di stile" che uno fa.
    Per esempio, nel mio blog ( che chiaramente non esaurisce la mia scrittura, ma ne è una piccola finestra aperta) con i "collage polimaterici" o le "raccolte": prelevo parole non mie, come una scimmietta, le guardo, le rotolo nella bocca, le assaggio- a volte- e poi le deposito. Fregandomene del senso globale del palazzo.
    Diverso è quando scrivo un testo: allora, come un architetto, "penso" e "scelgo" i mattoni-parole, decido dove metterli. Un mattone dopo l'altro e valuto se porne uno primo di un altro o toglierne alcuni eccessivi.In modo che la costruzione-testo sia esteticamente apprezzabile e comunicante un significato. Quindi vi sono piani diversi nella casa di gioco dello scrittore-scimpanzé: il piano gioco dove "pesare e soppesare" le parole e prenderle in sé, senza altro godimento che averle fra le mani; e un altro piano dove invece giocare alle costruzioni e innalzare castelli o catapecchie.
    Non è così? O forse ho frainteso la tua simpatica similitudine?

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  2. non sono certo che uno scimpanzé sappia cosa sia un "collage polimaterico"... ;-)

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  3. http://www.abbraccidiluce.it/index.php?link=64&Upper=1&module=

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