domenica 5 giugno 2011

Madame Bovary n'est plus moi, o sulla prevalenza delle storie


All’inizio mi è venuto il dubbio. Meglio, il sospetto. Così ho ricercato nella rubrica del telefonino il numero di un’amica libraia, Alessandra, che tra parentesi avevo anche voglia di sentire. Ma prima ho pigiato per sbaglio su un'altra Alessandra e abbiamo parlato un bel pezzo, con questa Alessandra qui, mia cugina, lei si aspettava che venissi al punto della telefonata e io non avevo il coraggio di dirle che avevo sbagliato Alessandra, e poi in fondo mi faceva piacere sentire anche lei. Al termine del lungo slalom tra vizi e virtù familiari, sono quindi riuscito a contattare la mia amica libraia, scovata in mezzo al traffico romano del weekend. Ed è forse temendo che fosse una diversa Alessandra ancora, che le ho domandato a bruciapelo:

“Te le chiedono mica più delle storie d’amore in libreria?

Intendevo dire, come ho subito cercato di chiarire alla sua voce perplessa e confusa tra i capricci dei motorini e gli starnuti dei clacson – “…in che senso, scusa Guido, e intanto ciao, delle storie d’amore?!” –, intendevo verificare se per caso esistono dei lettori che aggiungono il complemento di specificazione alla loro generica richiesta di un libro, o meglio di una storia. In particolare mi interessa sapere se ancora sopravvive una tipologia letteraria, se non proprio un genere, riassumibile sotto quel vecchio ed enorme cappello linguistico che per comodità chiamiamo amore.

No, non c’è più. La mia amica Alessandra – che non è mia cugina, se non si fosse capito - su questo è stata molto chiara, malgrado i clacson e le sirene facessero di tutto per zittirla. Anche se ha subito voluto precisare che la richiesta di narrazioni a sfondo sentimentale, in alcuni casi addirittura “romantico”, e anche questo termine riflette un’esplicita formulazione dei lettori, è sempre molto alta. Si ricercano i sentimenti, ancora di più le emozioni, alcuni li chiamano addirittura e con prosopopea scientifica “vissuti emotivi”. Ma a pronunciare l'espressione sono in genere le donne solamente, specie quelle che spulciano tra gli scaffali di psicologia, tra Raffaele Morelli e Umberto Galimberti, ma alla fine acquistano sempre anche un tascabile sudamericano edito da Feltrinelli. Ci si gira insomma attorno ma nessuno la chiama più amore, quella cosa lì.

E dunque Alessandra, provo a ricapitolare: sentimento sì, romanticismo sì, storie anche. Ma amore no. O meglio non più storie d’amore, ma storie e basta.

Ed era il mio sospetto, lo vedi! Nato dalla semplice costatazione che anche nel linguaggio corrente una relazione, specie se iniziata da poco, sussurrata nell’attesa di una forma certa, non viene più chiamata amore o fidanzamento o flirt o filarino; nemmeno tresca, nei casi più pruriginosi o clandestini. Le diverse tonalità di rapporto vengono invece rubricate dentro un generico contenitore, che non è però sentimentale ma narrativo. Ed è così che le chiamiamo semplicemente storie:

Ho una storia con un tizio conosciuto in palestra… Te la ricordi Giovanna, ha una storia con quello un po’ stempiato che sta al bancone, massì quello con la Fred Perry con il colletto alzato… Mi piacerebbe tanto avere una nuova storia… La mia storia è un po’ in crisi, non so come diglielo, ma davvero non riesco più a fare sesso a casa sua, da quando si è comprato un pitbull…

E’ come se il linguaggio avesse perso fiducia nel suo formidabile potere di scontornare i margini dell’incerto, al punto che anche i confini delle relazioni tra persone sono diventati liquidi, come suggerisce il sociologo polacco Zygmunt Bauman. Ma allo stesso tempo è nitida la percezione del transito degli affetti dalla sfera lirica a quella prosastica. L’amore, in altre parole, non è più quel sentimento assoluto ed extra-storico cantato dai poeti (in particolare dalla rinascita provenzale in poi), ma si coniuga dentro la dimensione relativa e contingente, che ha trovato la sua manifestazione più compiuta nella forma romanzesca, e più tardi nel racconto breve.

Se il termine amore conteneva un riverbero utopico di assoluto – una storia d’amore è una storia che nega la storia, in fin dei conti, che sfida il tempo e che approda a quella dimensione ultra-storica che è il Mito – una storia-storia è invece quella che si gioca tutto nel qui ed ora, e che dunque ha nella temporalità e nella necessaria conclusione la sua cifra espressiva. Chiamandole storie pronunciamo così tacitamente quel complemento di specificazione che non è dichiarato, ma che è ben presente quale sfondo implicito del discorso.

Come a dire: una storia è sempre la storia della sua fine.

Ma allora quando non abbiamo più il coraggio di entrare in una libreria a domandare una storia d’amore, cosa stiamo dicendo con il nostro silenzio, con la nostra generica ricerca di storie? Forse solo che l’esistenza tardo-moderna è diventata un cumulo di cocci, di ferite e soprattutto di finali che non cessano di finire. Ma quel balsamo che era allo stesso tempo un inizio, un oltre e un dopo-tutto, ha smesso di essere un medicamento per tutto ciò. L’amore non funziona più, è diventato un'ascensore guasto per scalare il grattacielo dei giorni. E così la parola ci fa sorridere come gli elisir magici spacciati dagli imbonitori nel Far West.

Dopo aver sbarazzato la libreria domestica dagli ingenui e goffi romanzetti d’amore, abbiamo dunque tutto lo spazio per riempirla nuovamente di svaghi colloquiali, sport estremi, happy hour e narrazioni indefinite. Ma anche per gettarci allegramente – e cioè impregiudicati da ogni impegno di durata, di progetto e infine sciolti da un’eternità astratta e immaginifica - nella prossima storia. Certi che saranno solo poche paginette, da divorare sotto l'ombrellone.

O se vogliamo dirla in una battuta: Madame Bovary n'est plus moi.

4 commenti:

  1. vecchia storia il linguaggio che si torce sui tempi sbrigativi. potrebbe essere stato un profiquo dilungarsi in passato,parole che nascevano per descrivere la diabolica seduzione, incertissima provenienza. la parola AMORE rimane splendida, ma continua a frugare nell'incerto.....

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  2. Manca la tessitura paziente al telaio: un filo dopo l’altro con le mani a tirare l’archetto e la spoletta. Il tempo lento e la fatica del tessere: si fa un nodo dopo l’altro a tenere la trama. E se s’ingarbuglia, si scioglie senza romperlo- trattenendolo intatto. Dedizione-attenzione-contemplazione-fatica. Interamente dentro l’atto: il corpo e la mente rapiti nel flusso creativo, dimentichi del mondo. Manca Pathos. E’ vacante Eros.
    Ha vinto il gratta e vinci. Il mordi e fuggi. Cotto e mangiato. Last minute.

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  3. come altre volte,ho avuto dei pensieri in gola prima di terminare la lettura e x non perderli ho scritto il commento. poi ho continuato incontrando "la incertezza"
    anonimo sopra

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  4. dunmque...l'anonimo sopra è femmina. sento differenze di autolettura

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